martedì 11 gennaio 2011

Fiat, voluntas dei

La questione Mirafiori, se guardata dal punto di vista del blogger, può essere definita un fake di dimensioni colossali.


Ci si trattenga però dal voler considerare le posizioni di Marchionne come un bluff: non è affatto così. L'AD di Fiat è realmente intenzionato ad assegnare a Mirafiori le risorse finanziarie necessarie per la sua sopravvivenza se e solo se il referendum a cui sono chiamate le maestranze darà un responso concorde con la linea aziendale.
Caso mai, il vero bluff consiste proprio nel rifinanziamento dello stabilimento torinese.


Esistono infatti ottime ragioni per presumere che anche in questo caso il gruppo Fiat Auto sia comunque determinato a liberarsi quanto prima degli ultimi siti produttivi presenti sul territorio italiano: di Termini Imerese sappiamo ormai da tempo che non rientra più nelle strategie aziendali Fiat, e riguardo i rimanenti stabilimenti (Mirafiori, Pomigliano, Melfi, e così via) il futuro non appare affatto garantito alla luce delle prospettive economiche e commerciali di medio periodo.


Nonostante le dichiarazioni d'intento del management Fiat, il quale insiste nell'affermare la volontà di riposizionare il core business del gruppo su proposte orientate a esplorare segmenti di mercato caratterizzati da maggiore marginalità e maggiore prestigio, il brand Fiat-Lancia-Alfa Romeo a tutt'oggi non sembra affatto possedere le risorse economiche, il know-how tecnologico, e, the last but not the least, la managerialità necessaria per conquistare, mantenere e consolidare quelle posizioni di mercato che consentirebbero di non doversi più confrontare principalmente con i competitors del Far East sul terreno delle produzioni di massa, di basso costo e di contenuti tecnologici non elevati.


A differenza dell'industria automobilistica tedesca, infatti, è ormai da diversi decenni che l'industria italiana ha perso la capacità di proporsi credibilmente nel mercato altomarginante dei segmenti superiori: esiste quindi una debolezza strutturale ereditata dal passato, la quale si va ad aggiungere alle già citate carenze endemiche di capitale, know-how e management.


Certo, sarebbe molto bello poter contare anche noi sullo zoccolo duro composto da una clientela benestante che nei periodi di depressione economica vede aumentare il suo potere d'acquisto. E sarebbe altrettanto bello poter lasciare ad altri quei segmenti di mercato a cui si rivolge la clientela costituita dalle fasce sociali più deboli, le quali nei periodi di crisi vedono invece crollare verticalmente la loro propensione alla spesa.
Ma per tradurre in realtà questi ottimi propositi, la disponibilità di adeguate risorse finanziarie è condizione necessaria ma assolutamente non sufficiente se mancano, come in effetti mancano, gli altri presupposti innanzi elencati.


Questa però è un'analisi che prescinde da un altro fattore strategico e assolutamente fondamentale in ogni iniziativa industriale e/o commerciale che dichiari di voler puntare soprattutto sulla qualità: sto parlando del fattore umano, ovvero della capacità di ricreare un rapporto fra management aziendale e maestranze basato su fiducia, rispetto e reciproca considerazione.
Il fattore umano è il centro nevralgico attraverso il quale passa qualsiasi percorso di incremento della qualità del prodotto, e le posizioni del management Fiat in questo contesto delineano una tendenza diametralmente opposta, come se la qualità del prodotto non fosse funzione diretta della qualità del lavoro e come se la qualità del lavoro non fosse funzione diretta della qualità del rapporto fra lavoratore e datore di lavoro.


Mi chiedo in quale mente ottenebrata, fra la dirigenza Fiat, possa aver preso forma l'illusione di poter ottenere più qualità del prodotto attraverso un rapporto più conflittuale con i lavoratori.


Un approccio del genere non ha alcun senso e non può avere alcun futuro, semplicemente.


E' in virtù di queste semplici considerazioni che ritengo che l'attuale diatriba su Mirafiori, e anche gli eventuali investimenti che l'azienda dichiara di essere pronta a mettere in campo, sia nel complesso solo fumo negli occhi: qualsiasi sia l'esito di questa vicenda, è molto probabile che Fiat abbia già deciso di uscire dal sistema produttivo industriale sul territorio italiano, esattamente come è già uscita dal quadro normativo dei contratti di lavoro a livello nazionale riconosciuti da Confindustria e dalle organizzazioni sindacali.


Ovviamente Marchionne non confesserebbe questa intenzione nemmeno sotto tortura, per non mettere a repentaglio il titolo Fiat e per una quantità di altre ottime ragioni.
Ma un'analisi oggettiva dei presupposti reali della questione non lascia spazio ad altre ipotesi, checché ne dicano anche i sindacati. Che da parte loro è probabile che siano giunti a queste stesse conclusioni. Conclusioni che ai lavoratori non possono certamente essere dichiarate, per non trovarsi poi nella condizione di dover ammettere anche il totale esaurimento del potere contrattuale del sindacato come istituzione.


Non a caso, molto analisti e commentatori sono convinti che in futuro sarà la politica a doversi far carico direttamente di molte delle istanze e delle funzioni finora svolte dai sindacati.

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