lunedì 2 dicembre 2013

La solita presa in giro del giorno dopo.

http://www.corriere.it/cronache/13_dicembre_02/rogo-prato-napolitano-condizione-d-insostenibile-illegalita-sfruttamento-edc3f440-5b79-11e3-bbdb-322ff669989a.shtml



L'ipocrisia delle istituzioni di fronte alle tragedie più gravi è ormai così permeata nella ritualità della comunicazione mediatica che sembriamo non farci più caso.
Peraltro, anche l'informazione ci mette del suo con forme anche molto grossolane di mistificazione e di omissione.
Nel caso specifico di Prato, chiunque avesse modo di visitare la città e il suo hinterland si renderebbe conto che l'inserimento delle aziende e della manodopera cinese nel tessuto produttivo della zona è un fenomeno di dimensioni straordinariamente vaste. L'economia del tessile è passata in blocco nelle loro mani e ha letteralmente spazzato via quello che era il core business industriale di matrice autoctona, il quale nacque inizialmente per la rigenerazione degli stracci in tessuti e poi acquisì un peso rilevante nel tessile italiano.

Oggi la situazione si è totalmente deteriorata perché i cinesi si sono praticamente impadroniti del mercato e lavorano in condizioni di totale assenza di rispetto delle regole, quali che esse siano: normative amministrative, sindacali, sulla concorrenza, sulla sicurezza, niente di niente. A loro non importa un fico secco: acquistano o affittano capannoni, spesso creano aziende intestate ai più improbabili pincopallini servendosi della consulenza di commercialisti (italianissimi) che spiegano loro tutti i trucchi per eludere qualsiasi atto sanzionatorio della pubblica amministrazione, assumono (per la precisione, "installano" in fabbrica) come lavoranti un certo numero di connazionali pagando loro retribuzioni ridicole (ovviamente in nero) e producendo quindi un effetto devastante sugli altri concorrenti che operano sul mercato con costi "normali". E noi consumatori italiani, nei negozi di abbigliamento compriamo orgogliosamente e a caro prezzo capi con l'etichetta "made in Italy" che sono stati prodotti con capitali cinesi che al fisco italiano non pagheranno mai nemmeno un centesimo di imposte, che sono stati prodotti da operai cinesi che rispediscono in Cina il 90% del loro salario e che usano il restante 10% per acquistare esclusivamente beni di prima necessità (soprattutto alimentari) importati dalla Cina, che sono stati prodotti con materie prime per la massima parte importate dall'estero, e che di italiano quindi hanno solo la provenienza geografica.

Tutto questo scempio va avanti da decenni, ma solo ora l'ottuagenario rimbambito si degna di far sapere urbi et orbi che "così non va bene". Ma per favore. La cosa è nota a chiunque, così come è noto a chiunque il fenomeno dello schiavismo a danno dei lavoranti stagionali stranieri nelle nostre regioni meridionali.

Quello che invece NON è a tutti noto è il fatto che a Prato, quando si fanno i controlli, non di rado i capannoni vengono trovati deserti. Per non parlare della disinvoltura con cui gli imprenditori cinesi sfruttano le lentezze della giustizia amministrativa passando armi e bagagli da un capannone all'altro e da una ragione sociale all'altra nel momento in cui le forze dell'ordine riescono a beccarne qualcuno o nel momento in cui qualche creditore si presenta alla loro porta per batter cassa: spariscono, letteralmente, e in men che non si dica ricompaiono magari a 100 metri di distanza in un altro capannone ma con le stesse macchine e con gli stessi operai. Del resto, la burocrazia italiana è talmente lenta che è perfettamente possibile tenere in piedi per almeno 3-4 anni un sito produttivo completamente illegale prima che esso venga effettivamente sequestrato e chiuso.

Però quello che alcuni sanno ma nessuno ci dice è anche il fatto che il principale ostacolo all'azione repressiva di forze dell'ordine e magistratura è posto a livello politico, perché ambasciata e consolati cinesi sono prontissimi a intervenire "discretamente" quando nell'aria c'è il sentore di una maggiore attenzione verso questa vera e propria cancrena del nostro tessuto sociale e produttivo.
E quando la "persuasione occulta" non basta, i signori dagli occhi a mandorla non disdegnano nemmeno di scendere in piazza per protestare contro la "discriminazione" nei loro confronti.

In poche parole: i cinesi si stanno vendicando del periodo in cui la loro nazione è stata soggetta ai diktat e ai soprusi delle potenze coloniali europee. Ora la colonia, a tutti gli effetti, siamo noi.

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