Della serie: "come confutare le affermazioni dei politicanti servendosi solo della logica".
Che Matteo Renzi sia personaggio inaffidabile e bugiardo lo si è già constatato più volte.
Inaffidabile, perché ciò che dice e che promette viene troppo spesso smentito dai fatti: vedasi le sue improvvide e avventate dichiarazioni sul tasso di crescita dell'economia italiana dopo i suoi primi interventi (i famosi 80 euro, per fare un solo esempio); oppure, vedasi le sue altrettanto famose promesse di non andare a Palazzo Chigi se non dopo l'investitura elettorale da parte dei cittadini.
Bugiardo, perché molte delle sue promesse sono state fatte mentendo sapendo di mentire: e qui è troppo facile ricordare il famoso motto "Enrico, stai sereno", partorito praticamente a ridosso della defenestrazione del Nipote Di Suo Zio dalla carica di Capo del governo. Ma è altrettanto facile riandare al discorso programmatico al Senato, ove l'Ottimo Matteo si è letteralmente sbizzarrito promettendo formalmente "una riforma al mese" a partire da marzo: fisco, scuola, pubblica amministrazione, strutture istituzionali...
Ebbene, siamo alle porte di novembre, queste scadenze sono state abbondantemente superate e nulla di quanto promesso si è ancora visto.
Quindi, girate la frittata come volete, ma questo è un bugiardo.
Oggi, però, il giorno dopo il suo intervento alla Leopolda, scopriamo che l'Ottimo Matteo ha anche una immensa faccia di bronzo. Non è facile, in realtà, condensare in un unico discorso tante sciocchezze e tante falsità tutte insieme, eppure lui c'è riuscito e c'è riuscito così bene che non ha ricevuto in cambio monetine, pomodori, ortaggi e uova marce ma soltanto applausi e ovazioni.
Una roba da non credere.
Ma entriamo nel merito: l'affermazione "il posto fisso non esiste più" è evidentemente falsa, visto che a oggi i lavoratori, sia del settore pubblico che di quello privato, occupati con contratto a tempo indeterminato ammontano a milioni.
Questa ovvietà, di per sé, basterebbe a giustificare il lancio di pomodori. Ma nemmeno sfusi, anzi, lanciati proprio con tutto il barattolo e sperando di cogliere in pieno il bersaglio.
Ora qualcuno mi dirà che l'affermazione è da intendersi come una normale iperbole retorica, sì, insomma, quelle cose che sentiamo ogni volta che un oratore sale su un palco. Nulla di cui stupirsi o scandalizzarsi.
Bene. Glielo concediamo.
Diciamo allora che Renzi non voleva certamente sostenere che il posto fisso non esiste più ma che è una tipologia contrattuale che ormai si riscontra a un numero sempre più basso di lavoratori, virtualmente sparita nelle nuove assunzioni.
Questo è già un quadro decisamente più aderente a una realtà in cui il datore di lavoro, per ragioni spesso (ma non sempre) inerenti al pessimo momento che l'economia sta globalmente vivendo, si guarda bene dall'investire nel contratto a tempo indeterminato e preferisce di gran lunga garantirsi la maggiore flessibilità possibile di organico, una flessibilità che può essere ottenuta e garantita soltanto attraverso forme di assunzione a tempo determinato.
Bene. Concediamo anche questo.
Ma allora, quello che ci si deve chiedere è quale problema rappresenti ciò che è rimasto dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori in un panorama del genere.
L'articolo 18 non rappresenta, per il datore di lavoro, un ostacolo alla scelta della tipologia contrattuale da applicare al lavoratore: chi vuole assumere a tempo determinato continuerà tranquillamente a farlo anche in futuro e anche se l'articolo 18 continuasse a esistere per sempre. Esattamente come succede finora.
L'articolo 18, peraltro, poiché riguarda una percentuale di lavoratori certamente minoritaria rispetto al totale degli occupati, non può avere alcuna reale influenza sull'andamento complessivo del mercato del lavoro e delle dinamiche occupazionali, e infatti finora non lo ha avuto.
Quale ragione c'è, quindi, nel sostenere che l'articolo 18 rappresenta un ostacolo all'incremento dell'occupazione? nessuna. Proprio nessuna. Come già detto, non è mica obbligatorio assumere a tempo indeterminato.
C'è un imprenditore, uno soltanto, che oggi in Italia può sostenere di non aver potuto assumere un dipendente a causa dell'esistenza dell'articolo 18? nessuno. Proprio nessuno. Ci sono così tante tipologie di contratto a termine disponibili, c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Ma di tutto questo, l'Ottimo Renzi si guarda bene dal far cenno. Egli, peraltro, si guarda bene anche dallo sfiorare la questione di principio relativa alla giusta tutela dei fondamentali diritti individuali, ovvero a come rimediare a un danno provocato ingiustamente. Nel caso di specie, il danno ingiusto consiste in un licenziamento illegittimo, cioè operato al di fuori dei casi previsti dalla legge. Si noti bene, anche i fautori dell'abolizione dell'articolo 18 non negano la sussistenza dell'arbitrio e quindi di un danno subito dal lavoratore licenziato ingiustamente, ma si limitano a sostenere che a tale danno si deve rimediare con un indennizzo invece che con la riassunzione.
Ovviamente, solo un cretino oppure un immenso cialtrone potrebbe sostenere che l'indennizzo sia soddisfacente come la riassunzione. Sì, perché qui le cose sono due e tertium non datur: o consideriamo l'indennizzo equivalente alla riassunzione oppure no. Ma poiché, come ho appena detto, bisogna essere veramente imbecilli o falsi come Giuda per affermare che lo sia, allora è evidente che le vere motivazioni alla base del progetto di eliminazione dell'articolo 18 sono ben altre e - appunto - altrove vanno ricercate.
A tal proposito, l'Ottimo Renzi si è spesso servito dell'argomento del lavoratori di serie A e di serie B, ove quelli di serie A sarebbero quelli assunti a tempo indeterminato e tutelati dall'articolo 18 contro i licenziamenti arbitrari, mentre quelli di serie B sarebbero quelli a termine che non godono di alcuna tutela sul proprio futuro occupazionale e che sono costretti a campare virtualmente alla giornata.
Secondo l'Ottimo Renzi e la sua corte di servi sciocchi, questa sarebbe una "sperequazione" e una "ingiustizia" da eliminare.
In effetti anche secondo me una situazione del genere è inaccettabile: infatti, il quesito che mi sorge spontaneo nella mente è come fare a garantire un po' più di serenità e di speranza per il futuro anche ai lavoratori a termine.
Per l'Ottimo Renzi, invece, è l'insieme delle (residue) tutele previste dall'articolo 18 a essere un "privilegio inaccettabile": in pratica, se io sto bene e tu hai 40 di febbre, non devi essere tu a guarire ma è giusto che anch'io per solidarietà mi becchi l'influenza, così potremo spazzar via il mio "inaccettabile privilegio" e potremo dire allegramente che in fin dei conti mal comune è mezzo gaudio. Alleluja!
Qualcuno ha un gettone? ho terminato il credito nell'Iphone...
lunedì 27 ottobre 2014
sabato 4 ottobre 2014
buonismo e razzismo...
Periodicamente, sui media e sui social networks si riaffaccia la questione dei migranti che, come sempre, scatena la solita ridda di commenti e di prese di posizione più o meno qualunquistiche da una parte e dall'altra, riproponendo il solito stucchevole confronto fra "-isti" di ogni posizione, soprattutto buonisti e razzisti.
In realtà il problema potrebbe essere compreso nei suoi aspetti oggettivi senza eccessive difficoltà, basterebbe accendere il cervello e scremare i fatti dalle chiacchiere, dalle strumentalizzazioni e dalle leggende metropolitane.
Prima di tutto è bene sottolineare che che le cause scatenanti dei fenomeni migratori vanno individuate in fattori geopolitici ben più rilevanti di un occasionale, anche se drammatico, "imprevisto" quale potrebbe essere un disastro naturale o lo scatenarsi di conflitti locali. In questi ultimi casi non si creano migranti ma rifugiati, ovvero persone costrette ad abbandonare provvisoriamente la loro dimora ma desiderose di ritornarci nel momento in cui cessa l'emergenza e si ristabiliscono condizioni di sufficiente sicurezza.
La differenza fra migrante e rifugiato è fondamentale e deve essere tenuta ben presente, perché la migrazione è un fenomeno causato dall'interazione fra fattori sociali, ambientali e economici che nessuna nazione o organizzazione sovranazionale è in grado di gestire o di influenzare sia pur minimamente nel breve periodo, mentre la gestione dei rifugiati è più facilmente affrontabile poiché si tratta per sua natura di un momento di crisi a cui si può far fronte con adeguate misure di supporto e di solidarietà a livello locale o internazionale. Possiamo citare i casi del terremoto ad Haiti e a Timor Est, del disastro di Fukushima, o di altri casi in cui l'emergenza è di tipo alimentare o sanitario (siccità, epidemie...) e ha fatto scattare le iniziative di soccorso che la cronaca mediatica ci ha già descritto e la cui necessità non è mai stata messa in alcun modo in discussione: vero è che violente critiche vi sono state, e in diversi casi si sono anche rivelate fondate, sul modo in cui gli stanziamenti sono stati impiegati e sul verificarsi di sprechi e di inefficienze, ma nessuno ha mai preso formalmente posizione contro l'obbligo umanitario di portare soccorso e di prendersi cura delle vittime di disastri, guerre o persecuzioni.
Proprio per questo sono state create strutture e istituzioni di vario tipo che hanno come ragione di essere proprio questa funzione: UNHCR, Protezione Civile, associazioni di volontariato e così via.
Il fenomeno migratorio, invece, si pone in genere su ordini di grandezza ben più rilevanti, poiché i suoi protagonisti sono persone che hanno deciso di abbandonare definitivamente la loro dimora e andare a stabilirsi altrove, e questo in genere avviene quando si percepisce la totale insostenibilità della condizione umana nel proprio habitat, in altre parole la sopravvenuta mancanza delle condizioni minime indispensabili per la sopravvivenza. Anche in questo caso ci troviamo senza dubbio di fronte a una situazione di emergenza, ma tale emergenza non trova soluzione nell'attivazione delle istituzioni di sostegno ai rifugiati, perché queste ultime non sono materialmente in grado di fornire al migrante ciò di cui questi in definitiva ha bisogno: una casa e un lavoro nella destinazione in cui egli ha deciso di trasferirsi.
La storia ci dice che in molti casi la richiesta di casa e lavoro è stata soddisfatta: nel diciannovesimo secolo, per esempio, le Americhe sono state il punto di arrivo di fenomeni migratori massicci, provenienti sia dall'Europa che dall'Asia, e tutto questo perché lo sviluppo economico nel Nuovo Continente ha comportato una notevole richiesta di manodopera a tutti i livelli e di conseguenza anche la capacità di assorbire adeguatamente il flusso demografico in entrata.
In altri casi, invece, il fenomeno migratorio non ha fatto altro che aggravare una situazione di depressione e di disoccupazione già preesistente ed è quindi diventato un ulteriore fattore di destabilizzazione sociale, tanto da portare le autorità politiche a prendere decisioni drastiche come il blocco delle frontiere.
Fatta quindi la dovuta e opportuna distinzione con le emergenze umanitarie dei veri e propri rifugiati a qualsiasi titolo, a questo punto ritengo che la domanda che dobbiamo porci è se, e entro quali termini, l'Italia sia in grado di offrire ai migranti ciò che essi chiedono: casa e lavoro.
In realtà il problema potrebbe essere compreso nei suoi aspetti oggettivi senza eccessive difficoltà, basterebbe accendere il cervello e scremare i fatti dalle chiacchiere, dalle strumentalizzazioni e dalle leggende metropolitane.
Prima di tutto è bene sottolineare che che le cause scatenanti dei fenomeni migratori vanno individuate in fattori geopolitici ben più rilevanti di un occasionale, anche se drammatico, "imprevisto" quale potrebbe essere un disastro naturale o lo scatenarsi di conflitti locali. In questi ultimi casi non si creano migranti ma rifugiati, ovvero persone costrette ad abbandonare provvisoriamente la loro dimora ma desiderose di ritornarci nel momento in cui cessa l'emergenza e si ristabiliscono condizioni di sufficiente sicurezza.
La differenza fra migrante e rifugiato è fondamentale e deve essere tenuta ben presente, perché la migrazione è un fenomeno causato dall'interazione fra fattori sociali, ambientali e economici che nessuna nazione o organizzazione sovranazionale è in grado di gestire o di influenzare sia pur minimamente nel breve periodo, mentre la gestione dei rifugiati è più facilmente affrontabile poiché si tratta per sua natura di un momento di crisi a cui si può far fronte con adeguate misure di supporto e di solidarietà a livello locale o internazionale. Possiamo citare i casi del terremoto ad Haiti e a Timor Est, del disastro di Fukushima, o di altri casi in cui l'emergenza è di tipo alimentare o sanitario (siccità, epidemie...) e ha fatto scattare le iniziative di soccorso che la cronaca mediatica ci ha già descritto e la cui necessità non è mai stata messa in alcun modo in discussione: vero è che violente critiche vi sono state, e in diversi casi si sono anche rivelate fondate, sul modo in cui gli stanziamenti sono stati impiegati e sul verificarsi di sprechi e di inefficienze, ma nessuno ha mai preso formalmente posizione contro l'obbligo umanitario di portare soccorso e di prendersi cura delle vittime di disastri, guerre o persecuzioni.
Proprio per questo sono state create strutture e istituzioni di vario tipo che hanno come ragione di essere proprio questa funzione: UNHCR, Protezione Civile, associazioni di volontariato e così via.
Il fenomeno migratorio, invece, si pone in genere su ordini di grandezza ben più rilevanti, poiché i suoi protagonisti sono persone che hanno deciso di abbandonare definitivamente la loro dimora e andare a stabilirsi altrove, e questo in genere avviene quando si percepisce la totale insostenibilità della condizione umana nel proprio habitat, in altre parole la sopravvenuta mancanza delle condizioni minime indispensabili per la sopravvivenza. Anche in questo caso ci troviamo senza dubbio di fronte a una situazione di emergenza, ma tale emergenza non trova soluzione nell'attivazione delle istituzioni di sostegno ai rifugiati, perché queste ultime non sono materialmente in grado di fornire al migrante ciò di cui questi in definitiva ha bisogno: una casa e un lavoro nella destinazione in cui egli ha deciso di trasferirsi.
La storia ci dice che in molti casi la richiesta di casa e lavoro è stata soddisfatta: nel diciannovesimo secolo, per esempio, le Americhe sono state il punto di arrivo di fenomeni migratori massicci, provenienti sia dall'Europa che dall'Asia, e tutto questo perché lo sviluppo economico nel Nuovo Continente ha comportato una notevole richiesta di manodopera a tutti i livelli e di conseguenza anche la capacità di assorbire adeguatamente il flusso demografico in entrata.
In altri casi, invece, il fenomeno migratorio non ha fatto altro che aggravare una situazione di depressione e di disoccupazione già preesistente ed è quindi diventato un ulteriore fattore di destabilizzazione sociale, tanto da portare le autorità politiche a prendere decisioni drastiche come il blocco delle frontiere.
Fatta quindi la dovuta e opportuna distinzione con le emergenze umanitarie dei veri e propri rifugiati a qualsiasi titolo, a questo punto ritengo che la domanda che dobbiamo porci è se, e entro quali termini, l'Italia sia in grado di offrire ai migranti ciò che essi chiedono: casa e lavoro.
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