domenica 7 febbraio 2016
Abbiamo una religione di Stato o un senatore di troppo?
Queste immagini, prese in occasione del Family Day tenutosi il 30 gennaio, sono emblematiche ma sono passate sostanzialmente sotto silenzio pur essendo pregne di contenuti eticamente e giuridicamente devastanti.
Il messaggio che da esse trapela non è diverso da quello veicolato in altre occasioni precedenti in cui la battaglia per i diritti civili ha visto mettersi di traverso la morale cattolica, ma al di là del merito non si può non sottolineare che queste posizioni di opposizione di principio rappresentano in maniera evidente il problema sostanziale, insoluto e virtualmente insolubile, del rapporto fra istituzioni e religione nelle moderne democrazie laiche.
Nelle nazioni in cui esiste una religione ufficiale di Stato, cioè quelle che classifichiamo come "confessionali", l'atteggiamento delle istituzioni nei confronti degli atei o dei seguaci di altri culti spazia, a seconda dei casi, dall'assoluto divieto di pratica sotto qualsiasi forma individuale o associativa a forme di tolleranza più o meno dichiarate: persino nel sedicente "Stato islamico" i cristiani sono in qualche modo tollerati, anche se pesantemente discriminati, a patto che paghino una apposita tassa.
Tuttavia, negli Stati confessionali una caratteristica di fondo è la costante e imprescindibile applicazione dei dettami del culto ufficiale anche nella produzione legislativa: Stato e clero possono anche non coincidere, ma la dottrina religiosa resta la principale - quando non unica - fonte normativa e ogni legge si uniforma nei suoi contenuti ai principi e ai dogmi del culto ufficiale.
Parimenti, nelle nazioni in cui vige il cosiddetto "ateismo di Stato", nessun culto religioso è formalmente riconosciuto e di conseguenza nei principi del diritto non si trova alcuna corrispondenza diretta o indiretta con una qualsivoglia dottrina religiosa, e di conseguenza tutti i culti eventualmente consentiti come pratica individuale sono comunque esclusi a priori da ogni contributo al processo normativo. Poi si potrebbe certamente osservare che in fin dei conti anche l'ateismo è di per sé una forma di religione poiché l'esistenza della divinità è scientificamente indimostrabile esattamente come lo è la sua negazione, ma questo è altro discorso.
Quello che è importante sottolineare è che nello Stato ateo la principale fonte normativa non è rappresentata da testi sacri come nello Stato confessionale, ma da altri presupposti etici generalmente identificabili nei principi costitutivi di una determinata ideologia.
Di contro, si definiscono "laiche" le nazioni in cui non esiste alcuna religione ufficiale di Stato e in cui ogni culto riconosciuto dallo Stato può essere liberamente praticato da ogni cittadino in forma individuale o associativa.
Possiamo quindi considerare lo Stato laico come una entità diversa sia dallo Stato confessionale sia dallo Stato ateo.
Rispetto allo Stato confessionale, infatti, la diversità consiste nell'indipendenza assoluta del sistema normativo dai precetti e dai dettami di qualsiasi culto, mentre rispetto allo Stato ateo la diversità consiste nella totale assenza di una presa di posizione pro o contro, rispetto alla questione dell'esistenza della divinità.
Lo Stato laico, per sua definizione, ha come elemento costituente della sua etica un patto sociale fondato su una serie di principi generalmente enunciati in un documento detto "Costituzione", che infatti rappresenta la fonte normativa primaria.
La conseguenza diretta di questi presupposti, per quanto riguarda il rapporto fra il cittadino e le religioni, consiste nell'affermazione che ciascuno può liberamente decidere se e quale culto praticare, a condizione che ognuno rispetti la legge, non potendosi quindi configurare alcuna scriminante o attenuante basata sul richiamo di qualsivoglia precetto di fede.
In pratica, nello Stato laico non ha alcuna rilevanza se un determinato atto sia "giusto" oppure sia "sbagliato", ma l'unica cosa eticamente e giuridicamente rilevante è se esso sia "lecito" oppure "illecito".
Appare quindi totalmente privo di senso esporre uno striscione che contenga il messaggio davanti al quale posa così orgogliosamente il gruppo di suore. Ora, se possiamo certamente astenerci dal provare stupore quando a fare da supporto a un messaggio così idiota sono persone che hanno dedicato la loro stessa vita al culto che professano, altrettanto non si può dire quando al loro posto posano, altrettanto orgogliosamente, un senatore della Repubblica, il quale dovrebbe conoscere, riconoscere e ricordare i principi sui quali ha giurato.
Prendiamo atto, invece, che l'Ottimo Giovanardi non conosce, oppure non riconosce, oppure non ricorda i suddetti principi.
Sarebbe quindi decisamente opportuno che questo discutibile personaggio liberi le istituzioni dalla sua ingombrante presenza.
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