L'unico effetto realmente importante del voto di fiducia di oggi, qualsiasi ne sia il risultato numerico, sarà la possibilità che la magistratura possa riprendere in breve, oppure no, ad agire nei confronti del Presidente del Consiglio, nel contesto dei procedimenti giudiziari che lo vedono coinvolto.
Le eventuali dimissioni di Berlusconi, infatti, porterebbero automaticamente al termine della protezione legale conferitagli dalla norma sul legittimo impedimento.
Questo ovviamente è un motivo oggettivo per cui Silvio Berlusconi non darà mai e poi mai le dimissioni di sua volontà: resta infatti, ed è notizia proprio di questa mattinata, rinviata all'11 gennaio prossimo l'udienza della Corte costituzionale in cui si discuterà della legittimità della norma di cui sopra, e poiché esiste pur sempre la possibilità che la Corte confermi la validità della legge, appare evidente che qualsiasi ipotesi di dimissioni di Berlusconi sarebbe da considerarsi assolutamente illogica e prematura - nell'ottica del suo personale interesse - prima del pronunciamento della Corte.
Tornando a discutere degli interessi della nazione, invece, è necessario constatare che l'esito del voto di fiducia non ha alcuna rilevanza nel determinare ciò che in realtà si è già oggettivamente verificato, ovvero il dissolvimento di una maggioranza politica solidissima all'atto dell'insediarsi del governo e oggi invece ridotta a sopravvivere per uno o due o comunque pochissimi voti di differenza.
Uno statista vero non potrebbe non prendere atto di questa situazione e si regolerebbe di conseguenza, al di là di quali possano essere le cause e le responsabilità di questo stato di fatto.
Sembra però che l'attuale maggioranza non intenda convertirsi al pragmatismo, rimanendo quindi ancora una volta ancorata ai soliti bizantinismi.
Ma allora, chi è la vera vittima di questo voto a perdere?
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