Le sue parole precise sono state: "responsabili della corruzione e del nulla di fatto in tema di riforme".
Se tutto ciò fosse stato detto da chiunque altro e in qualsiasi altro luogo, dall'aula parlamentare si sarebbero alzate all'unisono le grida di scandalo e le accuse sdegnate di populismo e di demagogia da quattro soldi.
Invece, di fronte allo stesso concetto scandito dal presidente della Repubblica, l'emiciclo reagisce entusiasticamente, con uno scrosciante applauso.
Nessuna ammissione di colpa avrebbe potuto essere più chiara. Una ammissione umiliante, imbarazzante, pesantissima, che in altri tempi e in altre culture avrebbe portato a dimissioni di massa, a un pudibondo ritiro dalla scena politica da parte di tutti i responsabili e, perché no, anche a qualche rituale seppuku.

Ma sappiamo bene che nel nostro Parlamento non si aggirano samurai ma politicanti e non si apprende il Bushido ma il manuale Cencelli. Dobbiamo quindi dedurre che all'interno del nostro Parlamento è assente uno dei sentimenti più intensamente umani, ovvero la vergogna.
La vergogna ha da sempre costituito una delle fondamentali linee guida delle relazioni sociali, e la storia ci conferma chiaramente che quando la politica ha dimenticato questo sentimento le conseguenze sono sempre state disastrose.
Resta quindi inquietante e irrisolto l'interrogativo che oggi tutti si pongono: sapranno questi uomini senza vergogna svolgere in maniera efficace i loro doveri istituzionali in Parlamento e dare la giusta risposta alle drammatiche emergenze che l'Italia sta vivendo?
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