Nelle biografie dei grandi personaggi capita a volte di
imbattersi in episodi e in dettagli virtualmente misconosciuti e nascosti nelle
pieghe del tempo e tuttavia capaci di produrre significativi squarci di luce
sul background in cui essi si sono trovati ad operare. Ogni uomo, conservatore
o innovatore che sia, è sempre e comunque figlio del suo tempo e coloro che si
avvicinano allo studio della storia devono ben tener a mente che è proprio la
decontestualizzazione la principale fonte di mistificazione.
Nel caso di cui voglio parlare ora, abbiamo di fronte una
delle classiche opportunità di illuminazione riguardo un aspetto assolutamente
non secondario del pensiero di Goethe, ovvero la vita che domina e che
avviluppa la morte, un concetto esoterico molto ben ripreso attraverso una
peculiare forma di allegoria nel poema “I misteri”.
Scusandomi per la mia assoluta mancanza della benché minima
dimestichezza con la lingua tedesca e
premettendo quindi che mi baso esclusivamente su una traduzione del testo in
inglese, descrivo per sommi capi la trama di quest’opera purtroppo incompiuta:
il protagonista, frate Marco, durante un suo pellegrinaggio, scopre nel fondo
di una piccola valle nascosta un antico e magnifico monastero il cui portone
d’ingresso è sovrastato da un misterioso emblema che raffigura una croce
contornata da un cerchio di rose, ne resta affascinato e si chiede chi mai
possa aver sposato delle rose a una croce.
Si tratta, ovviamente, di un esplicito richiamo all’antica
Fratellanza dei Cavalieri Rosenkreuzer (i Rosa-Croce), di cui Goethe ben
conosceva i manifesti per causa della sua amicizia con il filosofo Johann
Gottfried Herder, che in gioventù ne era stato un affiliato.
[N.b.: anche per quanto riguarda il contesto in cui si
sviluppa il poema, appare molto probabile che il luogo possa identificarsi con
l’abbazia benedettina di Nostra Signora degli Eremiti (X sec.) a Einsiedeln,
nel cantone svizzero di Schwyz. Per inciso, un posto che si dice valga la pena
di visitare sia pure solo per contemplarvi l’effigie della Vergine Nera.]
Ma tornando alla trama: le perplessità di frate Marco
crescono e si acuiscono con l’imbrunire e quando egli alfine si decide a
bussare alla porta viene accolto da un anziano servitore che, trattandolo più
come un messaggero che come un ospite, lo informa della imminente prossimità
della dipartita del signore del luogo, un cavaliere di nome Humanus che Goethe
tratteggia come dotato di forza erculea e di prodigiosi poteri taumaturgici ma
che in tutta la sua esistenza ha sempre coltivato le virtù dell’obbedienza,
della modestia e della rinunzia.
Si tratta quindi di una figura chiaramente allegorica: egli
è l’eletto, è il santo, una particolare mistica versione di superuomo di cui
l’anziano decanta a lungo e con venerazione le doti spirituali e le prove che
ha saputo affrontare e superare per guadagnarsi il titolo di Cavaliere, proprio
secondo i più classici dettami dei Rosenkreuzer.
Il seguito della trama vede a questo punto frate Marco
entrare nel sagrato del monastero e trovarsi ancora una volta di fronte alla
croce circondata da rami fioriti di rose. Poco dopo, egli si addormenta per
risvegliarsi più innanzi e scorgere nel giardino del chiostro tre giovani
vestiti di bianco, cinti anch’essi da un viluppo di rose e con delle torce in
mano. A questo punto il racconto si interrompe.
Abbiamo tuttavia elementi sufficienti per individuare
evidenti tracce di esoterismo, peraltro non solo in quest’opera: l’influsso
neorosacrociano su Goethe è facilmente riscontrabile anche in tutta
l’architettura stilistica del Faust ma pure in opere minori come il racconto
fiabesco denominato a posteriori “Il serpente verde”. Del resto è noto che
Goethe entrò nella Massoneria, e lo fece non per impulso giovanile ma nel 1780,
a Weimar, quando aveva già superato la soglia dei 30 anni di età.
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