lunedì 26 agosto 2013

Goethe e i Rosenkreuzer.

Nelle biografie dei grandi personaggi capita a volte di imbattersi in episodi e in dettagli virtualmente misconosciuti e nascosti nelle pieghe del tempo e tuttavia capaci di produrre significativi squarci di luce sul background in cui essi si sono trovati ad operare. Ogni uomo, conservatore o innovatore che sia, è sempre e comunque figlio del suo tempo e coloro che si avvicinano allo studio della storia devono ben tener a mente che è proprio la decontestualizzazione la principale fonte di mistificazione.

Nel caso di cui voglio parlare ora, abbiamo di fronte una delle classiche opportunità di illuminazione riguardo un aspetto assolutamente non secondario del pensiero di Goethe, ovvero la vita che domina e che avviluppa la morte, un concetto esoterico molto ben ripreso attraverso una peculiare forma di allegoria nel poema “I misteri”.

Scusandomi per la mia assoluta mancanza della benché minima dimestichezza  con la lingua tedesca e premettendo quindi che mi baso esclusivamente su una traduzione del testo in inglese, descrivo per sommi capi la trama di quest’opera purtroppo incompiuta: il protagonista, frate Marco, durante un suo pellegrinaggio, scopre nel fondo di una piccola valle nascosta un antico e magnifico monastero il cui portone d’ingresso è sovrastato da un misterioso emblema che raffigura una croce contornata da un cerchio di rose, ne resta affascinato e si chiede chi mai possa aver sposato delle rose a una croce.

Si tratta, ovviamente, di un esplicito richiamo all’antica Fratellanza dei Cavalieri Rosenkreuzer (i Rosa-Croce), di cui Goethe ben conosceva i manifesti per causa della sua amicizia con il filosofo Johann Gottfried Herder, che in gioventù ne era stato un affiliato.

[N.b.: anche per quanto riguarda il contesto in cui si sviluppa il poema, appare molto probabile che il luogo possa identificarsi con l’abbazia benedettina di Nostra Signora degli Eremiti (X sec.) a Einsiedeln, nel cantone svizzero di Schwyz. Per inciso, un posto che si dice valga la pena di visitare sia pure solo per contemplarvi l’effigie della Vergine Nera.]



Ma tornando alla trama: le perplessità di frate Marco crescono e si acuiscono con l’imbrunire e quando egli alfine si decide a bussare alla porta viene accolto da un anziano servitore che, trattandolo più come un messaggero che come un ospite, lo informa della imminente prossimità della dipartita del signore del luogo, un cavaliere di nome Humanus che Goethe tratteggia come dotato di forza erculea e di prodigiosi poteri taumaturgici ma che in tutta la sua esistenza ha sempre coltivato le virtù dell’obbedienza, della modestia e della rinunzia.

Si tratta quindi di una figura chiaramente allegorica: egli è l’eletto, è il santo, una particolare mistica versione di superuomo di cui l’anziano decanta a lungo e con venerazione le doti spirituali e le prove che ha saputo affrontare e superare per guadagnarsi il titolo di Cavaliere, proprio secondo i più classici dettami dei Rosenkreuzer.

Il seguito della trama vede a questo punto frate Marco entrare nel sagrato del monastero e trovarsi ancora una volta di fronte alla croce circondata da rami fioriti di rose. Poco dopo, egli si addormenta per risvegliarsi più innanzi e scorgere nel giardino del chiostro tre giovani vestiti di bianco, cinti anch’essi da un viluppo di rose e con delle torce in mano. A questo punto il racconto si interrompe.

Abbiamo tuttavia elementi sufficienti per individuare evidenti tracce di esoterismo, peraltro non solo in quest’opera: l’influsso neorosacrociano su Goethe è facilmente riscontrabile anche in tutta l’architettura stilistica del Faust ma pure in opere minori come il racconto fiabesco denominato a posteriori “Il serpente verde”. Del resto è noto che Goethe entrò nella Massoneria, e lo fece non per impulso giovanile ma nel 1780, a Weimar, quando aveva già superato la soglia dei 30 anni di età.

Nessun commento:

Posta un commento