martedì 27 agosto 2013
Pillole di letteratura: Edgar Allan Poe, il travaglio di uno spirito senza pace.
Angoscia e autodistruzione: queste due parole potrebbero benissimo essere l'epitaffio sulla sua lapide.
Emblematica, a questo proposito, è una sua frase: "E se guarderai a lungo nell'abisso, anche l'abisso vorrà guardare in te." Queste parole rappresentano perfettamente tutto il tormento di un'anima inquieta, un tormento a cui né l'alcool né l'oppio né il laudano seppero porre alcun rimedio ma solo offrirgli rari momenti di oblio accompagnandolo come ombre e fantasmi in tutto il lasso della sua breve esistenza, un'esistenza che ci ha lasciato tracce indelebili di un genio poetico esploso già nell'adolescenza, un genio in cui tuttavia il filo conduttore sembra essere quello della sua stessa vita, ovvero il periodico appuntamento con la Morte che gli porta via gli affetti più cari, a cominciare dai genitori che lo lasciarono orfano in tenerissima età, per continuare poi con il fratello William morto nel 1831 a soli 24 anni.
Ma è soprattutto nell'universo femminile che la Morte imperversa inesorabile prendendo sistematicamente di mira tutte le donne che intersecano il proprio destino con quello di Edgar: la madre Elizabeth muore di sfinimenti e di tubercolosi a soli 24 anni; il suo primo amore, Elena Jane Stannard, madre di un suo amico, muore anch'ella precocemente a soli 31 anni; per lei, subito dopo averla conosciuta ed essersene invaghito, Edgar comporrà versi appassionati:
"La tua bellezza è come quei navigli niceani di un tempo che mollemente, sul profumato mare, riportavano il viandante, stanco d'errare, alla sponda natìa."
("Ad Elena", 1831)
E di richiami crepuscolari e decadenti alla sponda notturna e alla sponda plutoniana della notte come allegoria della Morte sarà pervasa la sua opera poetica più nota, "Il corvo", partorita anch'essa come disperata elegia in memoria di una donna, una figura che alcuni commentatori individuano come la sua madre adottiva Frances Valentine, morta nel 1829, mentre altri sembrano più propensi a riconoscere nell'unica e raggiante fanciulla che gli angeli chiamano Eleonora la giovanissima moglie di Edgar, ovvero la cugina Virginia Clemm, da lui sposata nel 1836 quand'ella era poco meno che quattordicenne e Poe aveva 27 anni.
Ma Virginia morirà di tubercolosi nel 1847, anch'ella a soli 24 anni proprio come la madre di Edgar, mentre "Il corvo" fu pubblicata nel 1845. Non è quindi possibile stabilire alcun nesso eziologico fra quest'opera e la morte di Virginia, a meno che non si avalli l'ipotesi di una sorta di premonizione indotta dalle condizioni di salute mai buone della giovinetta (Virginia era tisica sin da bambina) e progressivamente peggiorate col passar degli anni.
Ma qui siamo nel campo delle mere ipotesi, suggestive finché si vuole ma non avallate da alcun indizio concreto.
Non sembra invece appartenere al campo delle semplici fantasie l'ipotesi che Poe avesse dentro di sé un tormento intimo che lo seguì fin nella tomba e che gli fece cercare non la pace ma l'infelicità terrena: il rapporto con l'amore e con le donne era infatti molto probabilmente condizionato dalla sua impotenza sessuale di carattere sostanzialmente edipico individuata già agli inizi del XX secolo dalla psicoanalista francese Marie Bonaparte. Una significativa frase dello stesso Poe sembra confermare questa ipotesi:
"Io non sono riuscito ad amare che là dove la morte mescolava il suo fiato con quello della bellezza"
Amore, morte e bellezza.
In queste tre parole c'è tutto il destino di Edgar Allan Poe: una vita spesa nella ricerca ossessiva e nell'attesa dell'autodistruzione, come se essa fosse l'unica strada che potesse portarlo a conoscere compiutamente l'amore.
Uno strano destino, quello di uno scrittore che per primo nelle sue opere ha parlato dell'inconscio quando la psicoanalisi era ancora molto di là da venire, ma anche un uomo che è stato a sua volta soggetto ideale per studi psicoanalitici.
Un genio, senza dubbio, e anche un precursore. In lui possiamo in fin dei conti riconoscere i tratti tipici dell'eroe decadente, così come elementi di pura vena romantica. Ma forse il più giusto omaggio che possiamo rendere alla sua memoria è riconoscergli semplicemente di essere stato uno spirito libero.
Amore, morte e bellezza. I tre grandi e insondabili misteri dell'animo umano di fronte ai quali Edgar Allan Poe non si è mai tirato indietro, a costo di consumarvi sé stesso.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento