Nel 1991 Renato Zero partecipò al festival di Sanremo con questa canzone, il cui testo conteneva un evidente messaggio di critica sociale.
E' probabile che Mariella Nava, autrice del testo della canzone, non si rendesse affatto conto del fatto che quelli fossero gli anni degli albori della new economy, il cui paradigma fondamentale era l'abbattimento dei costo di gestione attraverso la virtualizzazione di un numero sempre maggiore di elementi coinvolti nei processi di produzione e di distribuzione. Infatti abbiamo dovuto attendere sino al 1998 perché lo scrittore e saggista Kevin Kelly coniasse questo termine nel suo libro "New Rules for a New Economy".
Ma è anche probabile che ben poche menti analitiche possedessero nel 1998 la lucidità necessaria per prevedere con esattezza quali sarebbero state le conseguenze della globalizzazione, processo di cui l'avvento della new economy è stato sicuramente catalizzatore ma la cui nascita va inquadrata in un'ottica di ben più vasto respiro.
Oggi, sul finire del 2010, le prospettive sul futuro vengono percepite se possibile ancora più nebulose e ben poco si può oggettivamente prevedere riguardo ciò che ci aspetta. Le trasformazioni macroeconomiche indotte dalla globalizzazione sono ancora in divenire e non si riesce ancora a intravedere all'orizzonte dei prossimi anni dove ci porterà questo cambiamento epocale delle dinamiche dell'economia di mercato.
Possiamo però almeno provare a guardarci intorno per vedere cosa avviene nelle nostre immediate vicinanze, nelle nostre città, nei nostri posti di lavoro, nei nostri luoghi di aggregazione sociale, nelle nostre famiglie.
E a quanto pare, spalle al muro è una figura retorica che oggi non riguarda più solo gli anziani.
Spalle al muro è la generazione degli adolescenti che si troveranno di fronte a un mercato del lavoro in cui la competizione non è più finalizzata al costruirsi un futuro ma alla pura sopravvivenza.
Spalle al muro è la generazione dei trentenni che non rappresentano più ciò che si chiamava ceto medio.
Spalle al muro è la generazione dei quarantenni e dei cinquantenni che ormai sono fuori da ogni competizione e che per il mercato del lavoro sono già vecchi.
Ebbene, sappiamo tutti quali siano i diversi meccanismi che possono scattare nel momento in cui l'istinto di sopravvivenza si impossessa di un essere vivente: c'è quello che si rassegna al proprio destino accettando la sconfitta, c'è quello che fugge, e c'è quello che lotta.
Ma la lotta per la sopravvivenza non è un duello condotto secondo i riti della cavalleria: è un combattimento senza regole, senza scrupoli, senza appello e senza esclusione di colpi, che si può svolgere nella legalità o ai margini di essa e che può coinvolgere chiunque da protagonista o da vittima, quindi da vincitore o da perdente.
Stiamo quindi attraversando una fase storica in cui la competizione prende il posto della collaborazione, il nemico prende il posto dell'amico e la vittoria prende il posto della pace.
Benvenuti nel terzo millennio.
giovedì 16 dicembre 2010
martedì 14 dicembre 2010
Il problema della rappresentatività politica
Nessun sistema è perfetto, è evidente che anche la democrazia ha i suoi punti deboli. Infatti il problema che l'Italia deve affrontare nell'attuale momento storico è la questione della rappresentatività.
Non è solo questione di meccanismi elettorali, la cosa riguarda un po' tutto il sistema istituzionale e l'impianto costituzionale. Oggi chi parla di volontà popolare esprime un concetto vuoto, soprattutto perché dal punto di vista dei rapporti fra il cittadino (elettore) e il parlamentare (eletto) non esiste un legame diretto fra consenso elettorale, comportamento del parlamentare durante la legislatura, e riaffermazione (o negazione) del successivo consenso elettorale in base al fatto che il rappresentante abbia corrisposto oppure no alle aspettative iniziali.
Il concetto di rappresentatività, infatti, è intimamente connesso al "patto elettorale" fra il cittadino e il suo rappresentante: se non sussiste questo patto, il voto perde il suo significato e il parlamentare si può ritenere libero di agire come gli pare.
Ma in Italia il parlamentare, in concreto, è effettivamente libero di agire come gli pare: lo dice a chiare lettere la Costituzione quando afferma la libertà da qualsiasi vincolo di mandato. Il Parlamentare viene eletto dai cittadini, ma secondo la Costituzione egli non rappresenta il suo bacino elettorale bensì l'intera nazione.
Questo purtroppo non va più bene. Poteva essere un concetto valido nei primi decenni della vita repubblicana, quando era strategicamente importante evitare di stringere troppo il legame tra parlamentari e partiti politici.
Oggi però il quadro politico è del tutto cambiato a livello mondiale, e ne deriva necessariamente l'esigenza di adeguare il dettato Costituzionale. Non si tratta di stravolgere niente o di mettere in discussione i valori etici fondamentali, sia chiaro: al contrario, si tratta di aumentare l'efficienza del nostro impianto istituzionale, al fine di rendere EFFETTIVA LA RAPPRESENTATIVITA' del parlamentare nei confronti di colori che gli hanno dato fiducia con il loro voto.
Guardate quello che è successo oggi, e che è già successo tante volte in precedenza: parlamentari che per lunghi periodi hanno sostenuto una determinata linea politica, hanno disinvoltamente cambiato posizione passando da uno schieramento a un altro.
E' evidente che in un sistema istituzionale moderno, come quello che per esempio troviamo in alcuni paesi anglosassoni come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, permettersi di fare un passo del genere comporterebbe una punizione politica durissima alla successiva tornata elettorale da parte della base popolare che si vedrebbe tradita nella fiducia riposta.
In Italia una cosa del genere passa praticamente in maniera indolore. Anzi, molto spesso gli uomini politici più inseriti nei meccanismi clientelari dimostrano in tal modo alla propria base elettorale la loro "capacità di agire" e la loro "forza politica".
Non va bene. A volte questi voltafaccia avvantaggiano una determinata parte politica, a volte ne avvantaggiano un'altra, ma chi ci rimette alla fine è la capacità complessiva del sistema di affrontare i problemi del paese.
Infatti è sotto gli occhi di tutti che l'attuale classe politica, nel suo complesso, non è assolutamente in grado di svolgere quello che dovrebbe essere il suo compito.
Al contrario, essa continua imperterrita a crogiolarsi nella propria autoreferenzialità, mentre la situazione al di fuori dei palazzi diventa sempre più drammatica.
E' un lusso che non ci si può più permettere.
Voto a perdere.
L'unico effetto realmente importante del voto di fiducia di oggi, qualsiasi ne sia il risultato numerico, sarà la possibilità che la magistratura possa riprendere in breve, oppure no, ad agire nei confronti del Presidente del Consiglio, nel contesto dei procedimenti giudiziari che lo vedono coinvolto.
Le eventuali dimissioni di Berlusconi, infatti, porterebbero automaticamente al termine della protezione legale conferitagli dalla norma sul legittimo impedimento.
Questo ovviamente è un motivo oggettivo per cui Silvio Berlusconi non darà mai e poi mai le dimissioni di sua volontà: resta infatti, ed è notizia proprio di questa mattinata, rinviata all'11 gennaio prossimo l'udienza della Corte costituzionale in cui si discuterà della legittimità della norma di cui sopra, e poiché esiste pur sempre la possibilità che la Corte confermi la validità della legge, appare evidente che qualsiasi ipotesi di dimissioni di Berlusconi sarebbe da considerarsi assolutamente illogica e prematura - nell'ottica del suo personale interesse - prima del pronunciamento della Corte.
Tornando a discutere degli interessi della nazione, invece, è necessario constatare che l'esito del voto di fiducia non ha alcuna rilevanza nel determinare ciò che in realtà si è già oggettivamente verificato, ovvero il dissolvimento di una maggioranza politica solidissima all'atto dell'insediarsi del governo e oggi invece ridotta a sopravvivere per uno o due o comunque pochissimi voti di differenza.
Uno statista vero non potrebbe non prendere atto di questa situazione e si regolerebbe di conseguenza, al di là di quali possano essere le cause e le responsabilità di questo stato di fatto.
Sembra però che l'attuale maggioranza non intenda convertirsi al pragmatismo, rimanendo quindi ancora una volta ancorata ai soliti bizantinismi.
Ma allora, chi è la vera vittima di questo voto a perdere?
Le eventuali dimissioni di Berlusconi, infatti, porterebbero automaticamente al termine della protezione legale conferitagli dalla norma sul legittimo impedimento.
Questo ovviamente è un motivo oggettivo per cui Silvio Berlusconi non darà mai e poi mai le dimissioni di sua volontà: resta infatti, ed è notizia proprio di questa mattinata, rinviata all'11 gennaio prossimo l'udienza della Corte costituzionale in cui si discuterà della legittimità della norma di cui sopra, e poiché esiste pur sempre la possibilità che la Corte confermi la validità della legge, appare evidente che qualsiasi ipotesi di dimissioni di Berlusconi sarebbe da considerarsi assolutamente illogica e prematura - nell'ottica del suo personale interesse - prima del pronunciamento della Corte.
Tornando a discutere degli interessi della nazione, invece, è necessario constatare che l'esito del voto di fiducia non ha alcuna rilevanza nel determinare ciò che in realtà si è già oggettivamente verificato, ovvero il dissolvimento di una maggioranza politica solidissima all'atto dell'insediarsi del governo e oggi invece ridotta a sopravvivere per uno o due o comunque pochissimi voti di differenza.
Uno statista vero non potrebbe non prendere atto di questa situazione e si regolerebbe di conseguenza, al di là di quali possano essere le cause e le responsabilità di questo stato di fatto.
Sembra però che l'attuale maggioranza non intenda convertirsi al pragmatismo, rimanendo quindi ancora una volta ancorata ai soliti bizantinismi.
Ma allora, chi è la vera vittima di questo voto a perdere?
sabato 11 dicembre 2010
J'Accuse
La tragedia annunciata si è dunque consumata nell'indifferenza generale.
http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/379536/
IO ACCUSO i magistrati che hanno gestito gli antefatti di questo caso di non aver voluto applicare con la massima severità le pene previste dalla legge.
IO ACCUSO i magistrati che hanno gestito gli antefatti di questo caso di non aver avuto il coraggio di denunciare chiaro e forte, prima del verificarsi di quest'ultima preannunciata tragedia, l'insufficienza degli strumenti messi a loro disposizione dalla vigente legislazione.
IO ACCUSO gli organi giurisdizionali della magistratura penale di non aver voluto mettere in atto le più clamorose iniziative di protesta contro le conclamate inadeguatezze del nostro sistema giuridico forte solo con i cittadini onesti e debole con i delinquenti senza scrupoli.
IO ACCUSO Marco Pannella di essere sempre e comunque intervenuto a favore dei colpevoli e mai a favore delle vittime.
IO ACCUSO la classe politica italiana di voler continuare a perpetrare l'infamia che per garantire a loro stessi l'impunità non si fa scrupolo di lasciare impunite le tante belve sanguinarie che infestano la nostra società.
IO ACCUSO i mezzi di comunicazione e i protagonisti della platea mediatica di essere asserviti al potere e incapaci di prendere posizione contro lo squallore che ci circonda, essendosi dimostrati interessati solo alla ricerca dell'indice di ascolto.
http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/379536/
IO ACCUSO i magistrati che hanno gestito gli antefatti di questo caso di non aver voluto applicare con la massima severità le pene previste dalla legge.
IO ACCUSO i magistrati che hanno gestito gli antefatti di questo caso di non aver avuto il coraggio di denunciare chiaro e forte, prima del verificarsi di quest'ultima preannunciata tragedia, l'insufficienza degli strumenti messi a loro disposizione dalla vigente legislazione.
IO ACCUSO gli organi giurisdizionali della magistratura penale di non aver voluto mettere in atto le più clamorose iniziative di protesta contro le conclamate inadeguatezze del nostro sistema giuridico forte solo con i cittadini onesti e debole con i delinquenti senza scrupoli.
IO ACCUSO Marco Pannella di essere sempre e comunque intervenuto a favore dei colpevoli e mai a favore delle vittime.
IO ACCUSO la classe politica italiana di voler continuare a perpetrare l'infamia che per garantire a loro stessi l'impunità non si fa scrupolo di lasciare impunite le tante belve sanguinarie che infestano la nostra società.
IO ACCUSO i mezzi di comunicazione e i protagonisti della platea mediatica di essere asserviti al potere e incapaci di prendere posizione contro lo squallore che ci circonda, essendosi dimostrati interessati solo alla ricerca dell'indice di ascolto.
venerdì 10 dicembre 2010
Il mercato delle vacche.
Le ridicole sceneggiate a cui assistiamo in questi giorni non provengono da spettacoli televisivi di quart'ordine o da estemporanei teatrini di strada, ma nascono all'interno della massima espressione della democrazia costituzionale e dello Stato di diritto, ovvero il Parlamento della Repubblica.
E' sotto gli occhi di tutti già da diversi giorni, infatti, un insieme di manovre di corteggiamento e di persuasione tendenti a conquistare l'appoggio di parlamentari dell'opposto schieramento in vista della ormai prossima scadenza del voto di fiducia che con ogni probabilità il 14 dicembre sancirà in un senso o nell'altro il destino dell'attuale governo e forse anche di questa stessa legislatura.
Di per sé, tutto ciò rientrerebbe in un quadro di normalità istituzionale; il parlamentare in effetti agisce senza vincolo di mandato, il che vuol dire che egli risponde esclusivamente alla sua coscienza e può insindacabilmente decidere come esercitare tale mandato in ogni aspetto delle funzioni che è chiamato a svolgere: egli è libero di seguire oppure no le indicazioni politiche del suo partito o del suo gruppo parlamentare di appartenenza, ed è parimenti libero di uscire da un gruppo parlamentare, iscriversi a un altro oppure formarne uno nuovo, purché si rispettino gli adempimenti formali procedurali previsti dai regolamenti parlamentari.
In cosa, dunque, l'attuale situazione presenta aspetti moralmente censurabili? E' semplice: ci troviamo di fronte a manovre in cui la posta in gioco non è in alcun modo riconducibile a considerazioni di ordine politico ma solo ed esclusivamente a interessi personali di carattere puramente venale. Il vile denaro da intascare direttamente, oppure altro tornaconto.
Il mercato delle vacche, appunto.
E' sotto gli occhi di tutti già da diversi giorni, infatti, un insieme di manovre di corteggiamento e di persuasione tendenti a conquistare l'appoggio di parlamentari dell'opposto schieramento in vista della ormai prossima scadenza del voto di fiducia che con ogni probabilità il 14 dicembre sancirà in un senso o nell'altro il destino dell'attuale governo e forse anche di questa stessa legislatura.
Di per sé, tutto ciò rientrerebbe in un quadro di normalità istituzionale; il parlamentare in effetti agisce senza vincolo di mandato, il che vuol dire che egli risponde esclusivamente alla sua coscienza e può insindacabilmente decidere come esercitare tale mandato in ogni aspetto delle funzioni che è chiamato a svolgere: egli è libero di seguire oppure no le indicazioni politiche del suo partito o del suo gruppo parlamentare di appartenenza, ed è parimenti libero di uscire da un gruppo parlamentare, iscriversi a un altro oppure formarne uno nuovo, purché si rispettino gli adempimenti formali procedurali previsti dai regolamenti parlamentari.
In cosa, dunque, l'attuale situazione presenta aspetti moralmente censurabili? E' semplice: ci troviamo di fronte a manovre in cui la posta in gioco non è in alcun modo riconducibile a considerazioni di ordine politico ma solo ed esclusivamente a interessi personali di carattere puramente venale. Il vile denaro da intascare direttamente, oppure altro tornaconto.
Il mercato delle vacche, appunto.
martedì 30 novembre 2010
La debolezza della Corea del Nord?
Ho i miei dubbi sulla tesi che la Corea del Nord possa essere considerato "soggetto debole". Non è così.
Certo, dal punto di vista militare non c'è partita: un eventuale conflitto fra Pyongyang e Seoul vedrebbe l'intervento degli Stati Uniti e si risolverebbe in brevissimo tempo con la quasi totale distruzione delle sue forze armate in termini di operatività e con la cancellazione dalla faccia della terra delle sue infrastrutture: nella risposta militare sarebbe infatti assolutamente necessario dare al fattore tempo la massima priorità, per evitare che i nordcoreani possano lanciare attacchi terroristici contro il sud, specialmente la capitale Seoul utilizzando artiglieria, missili e reparti speciali di sabotatori, e magari servendosi di ordigni nucleari, batteriologici o chimici. Non dimentichiamo che è ormai accertato che i nordcoreani dispongono di questi tipi di armi di distruzione di massa.
E' però opinione di tutti gli analisti strategici che questa sarebbe una vittoria di Pirro, perché vi è la ragionevole certezza che i nordcoreani riuscirebbero comunque a provocare danni gravissimi alla Corea del Sud prima di cedere. E non si esclude nemmeno la possibilità che possano colpire anche il Giappone con missili a medio raggio.
Quindi il Caro Leader, pazzo scatenato che sia oppure no, di fatto tiene sotto scacco Seoul, Tokyo e Washington. E non è cosa da poco.
Altro punto a favore del Caro Leader è quello economico/demografico: come ho già sottolineato, la Corea del Nord non potrebbe non perdere un eventuale confronto militare. Tuttavia, lo scenario del "dopo" comporterebbe problemi forse peggiori delle eventuali distruzioni provocate al sud dalle armi chimiche o atomiche. Non solo l'economia della Corea del Nord, ma tutto il suo sistema sociale attualmente fondato sulla dittatura militare, crollerebbe immediatamente e lascerebbe alla fame più di 20 milioni di nordcoreani, creando un problema umanitario di portata mai vista in precedenza: inevitabilmente, i profughi si riverserebbero nelle nazioni confinanti (Cina e Corea del Sud) in una marea virtualmente inarrestabile, e questo provocherebbe un vero e proprio disastro nelle economie di questi due paesi, con conseguenze a livello mondiale che possiamo solo immaginare.
E allora, premesso tutto questo, e anche se gli Stati Uniti fossero effettivamente interessati a disfare il pianeta dalla ingombrante presenza del Caro Leader, vi sono tre nazioni diplomaticamente decisissime a impedire a ogni costo tutto questo, e sono Corea del Sud, Cina e Giappone. E "a ogni costo" in questo caso vuol dire che sono dispostissime ad allargare i cordoni della borsa verso le solite, ricorrenti e sempre maggiori richieste che Pyongyang mette in atto sia per via diplomatica sia a colpi di cannone.
Non mi pare quindi che la Corea del Nord si trovi in una situazione di debolezza.
Certo, dal punto di vista militare non c'è partita: un eventuale conflitto fra Pyongyang e Seoul vedrebbe l'intervento degli Stati Uniti e si risolverebbe in brevissimo tempo con la quasi totale distruzione delle sue forze armate in termini di operatività e con la cancellazione dalla faccia della terra delle sue infrastrutture: nella risposta militare sarebbe infatti assolutamente necessario dare al fattore tempo la massima priorità, per evitare che i nordcoreani possano lanciare attacchi terroristici contro il sud, specialmente la capitale Seoul utilizzando artiglieria, missili e reparti speciali di sabotatori, e magari servendosi di ordigni nucleari, batteriologici o chimici. Non dimentichiamo che è ormai accertato che i nordcoreani dispongono di questi tipi di armi di distruzione di massa.
E' però opinione di tutti gli analisti strategici che questa sarebbe una vittoria di Pirro, perché vi è la ragionevole certezza che i nordcoreani riuscirebbero comunque a provocare danni gravissimi alla Corea del Sud prima di cedere. E non si esclude nemmeno la possibilità che possano colpire anche il Giappone con missili a medio raggio.
Quindi il Caro Leader, pazzo scatenato che sia oppure no, di fatto tiene sotto scacco Seoul, Tokyo e Washington. E non è cosa da poco.
Altro punto a favore del Caro Leader è quello economico/demografico: come ho già sottolineato, la Corea del Nord non potrebbe non perdere un eventuale confronto militare. Tuttavia, lo scenario del "dopo" comporterebbe problemi forse peggiori delle eventuali distruzioni provocate al sud dalle armi chimiche o atomiche. Non solo l'economia della Corea del Nord, ma tutto il suo sistema sociale attualmente fondato sulla dittatura militare, crollerebbe immediatamente e lascerebbe alla fame più di 20 milioni di nordcoreani, creando un problema umanitario di portata mai vista in precedenza: inevitabilmente, i profughi si riverserebbero nelle nazioni confinanti (Cina e Corea del Sud) in una marea virtualmente inarrestabile, e questo provocherebbe un vero e proprio disastro nelle economie di questi due paesi, con conseguenze a livello mondiale che possiamo solo immaginare.
E allora, premesso tutto questo, e anche se gli Stati Uniti fossero effettivamente interessati a disfare il pianeta dalla ingombrante presenza del Caro Leader, vi sono tre nazioni diplomaticamente decisissime a impedire a ogni costo tutto questo, e sono Corea del Sud, Cina e Giappone. E "a ogni costo" in questo caso vuol dire che sono dispostissime ad allargare i cordoni della borsa verso le solite, ricorrenti e sempre maggiori richieste che Pyongyang mette in atto sia per via diplomatica sia a colpi di cannone.
Non mi pare quindi che la Corea del Nord si trovi in una situazione di debolezza.
lunedì 22 novembre 2010
La montagna e il topolino
Come richiesto e secondo copione, il Ministro degli Interni Roberto Maroni ha partecipato questa sera alla trasmissione "Vieni via con me" per leggere l'elenco di tutto quanto è stato fatto durante la sua permanenza ai vertici del Viminale per contrastare la criminalità mafiosa in tutta Italia.
Ho la sensazione che se il suo intervento non fosse stato preannunciato dal clamore che ha inevitabilmente creato attesa e curiosità forse superiori a quanto l'evento oggettivamente meritasse, le parole del ministro avrebbero lasciato un'impronta mediatica molto maggiore.
Ho infatti anche la sensazione che al termine della performance la domanda sorta spontaneamente in molti telespettatori sia stata: "Tutto qui?"
Ebbene, signor ministro, no, non è tutto qui. I risultati ottenuti ed enunciati sono notevoli, ma non possono essere banalizzati da una polemica stucchevole in un contesto - quello televisivo - che per sua natura mal si presta all'approfondimento "volante", e mi si scusi l'ossimoro ma tant'è, non trovo definizione più adatta per un intervento di pochi minuti instradato su binari rigidamente prestabiliti, e altrimenti che binari sarebbero?
Vede, signor ministro, la televisione è uno strumento delicato e complicato, e in tv l'unica cosa che deve essere considerata più dannosa dell'improvvisazione è la parvenza dell'improvvisazione. E lei, signor ministro, anche se si è ben preparato, anche se ha studiato insieme alla regia i modi e i tempi del suo intervento, ha dato l'impressione di aver improvvisato.
E questo spiace, perché di una cosa abbiamo tutti bisogno: la speranza che tutte le istituzioni possano svolgere, insieme, un ruolo fattivamente efficace nella lotta contro la criminalità organizzata. E' ormai da troppo tempo, da ben prima che ci venissero a mancare Della Chiesa, Falcone e Borsellino, che attendiamo di vedere magistratura, forze dell'ordine e politica agire in sinergia e con decisione.
Quindi, signor ministro, faccia a sé stesso e a tutti noi un favore: continui ad agire e non si preoccupi di ciò che si dice in tv. I fatti si fanno, e mi creda, a volte ci si accorge che è molto più facile farli che raccontarli.
Signor ministro, molti dicono che lei stia operando molto bene. E allora resti un ottimo ministro, non cerchi di trasformarsi in un pessimo anchor-man. Gli italiani onesti gliene saranno molto grati e continueranno a stimarla.
Ho la sensazione che se il suo intervento non fosse stato preannunciato dal clamore che ha inevitabilmente creato attesa e curiosità forse superiori a quanto l'evento oggettivamente meritasse, le parole del ministro avrebbero lasciato un'impronta mediatica molto maggiore.
Ho infatti anche la sensazione che al termine della performance la domanda sorta spontaneamente in molti telespettatori sia stata: "Tutto qui?"
Ebbene, signor ministro, no, non è tutto qui. I risultati ottenuti ed enunciati sono notevoli, ma non possono essere banalizzati da una polemica stucchevole in un contesto - quello televisivo - che per sua natura mal si presta all'approfondimento "volante", e mi si scusi l'ossimoro ma tant'è, non trovo definizione più adatta per un intervento di pochi minuti instradato su binari rigidamente prestabiliti, e altrimenti che binari sarebbero?
Vede, signor ministro, la televisione è uno strumento delicato e complicato, e in tv l'unica cosa che deve essere considerata più dannosa dell'improvvisazione è la parvenza dell'improvvisazione. E lei, signor ministro, anche se si è ben preparato, anche se ha studiato insieme alla regia i modi e i tempi del suo intervento, ha dato l'impressione di aver improvvisato.
E questo spiace, perché di una cosa abbiamo tutti bisogno: la speranza che tutte le istituzioni possano svolgere, insieme, un ruolo fattivamente efficace nella lotta contro la criminalità organizzata. E' ormai da troppo tempo, da ben prima che ci venissero a mancare Della Chiesa, Falcone e Borsellino, che attendiamo di vedere magistratura, forze dell'ordine e politica agire in sinergia e con decisione.
Quindi, signor ministro, faccia a sé stesso e a tutti noi un favore: continui ad agire e non si preoccupi di ciò che si dice in tv. I fatti si fanno, e mi creda, a volte ci si accorge che è molto più facile farli che raccontarli.
Signor ministro, molti dicono che lei stia operando molto bene. E allora resti un ottimo ministro, non cerchi di trasformarsi in un pessimo anchor-man. Gli italiani onesti gliene saranno molto grati e continueranno a stimarla.
domenica 21 novembre 2010
Dagli amici mi guardi Iddio...
...che dai nemici mi guardo io.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/11/20/carfagna-guzzanti-e-affamata-di-potere-berlusconi-e-furibondo-con-lei/77979/
E che Paolo Guzzanti possa rientrare nella categoria degli "amici" della Carfagna è cosa alquanto improbabile, visto che il ministro delle Pari Opportunità ha a suo tempo chiesto a Sabina Guzzanti (figlia di Paolo) un risarcimento civile di un milione di euro per la sguaiata performance della Guzzanti contro di lei in una manifestazione.
Osservo comunque che tutti coloro che si occupano del caso Carfagna si esibiscono in ardite illazioni e in previsioni più o meno attendibili sul suo futuro politico ma si guardano bene dall'entrare nel merito della vicenda della gestione degli appalti per i termovalorizzatori, che la Carfagna ha dichiarato essere la ragione fondamentale della sua decisione di dire addio alla sua esperienza col PdL e con l'attuale governo.
E se un simile atteggiamento di riserbo può avere una sua logica nel caso - per esempio - del ministro Maroni, il quale, intervistato poco fa da Lucia Annunziata nel suo programma televisivo, ha dichiarato esplicitamente che le questioni inerenti alla dinamica dei rapporti di potere e degli equilibri politici interni al PdL non lo riguardano e quindi lui non ci mette becco pur sottolineando l'apprezzamento per l'opera che la Carfagna ha svolto come ministro, trovo paradossale che uguale discrezione provenga da chi invece adesso sparge fiele e veleno sulla figura dell'attuale titolare del dicastero delle Pari Opportunità.
Saremmo curiosi per esempio di sentire, a proposito della questione degli appalti, l'illuminata opinione della signora Alessandra Mussolini, ma è meglio non farsi troppe illusioni al riguardo.
Insomma, come era purtroppo normale aspettarsi, la situazione appare grave ma non seria e la nostra classe politica si dimostra ancora una volta nel suo complesso incapace di affrontare pragmaticamente il merito dei problemi, preferendo piuttosto la difesa dei propri orticelli clientelari o - peggio - di interessi più o meno puliti.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/11/20/carfagna-guzzanti-e-affamata-di-potere-berlusconi-e-furibondo-con-lei/77979/
E che Paolo Guzzanti possa rientrare nella categoria degli "amici" della Carfagna è cosa alquanto improbabile, visto che il ministro delle Pari Opportunità ha a suo tempo chiesto a Sabina Guzzanti (figlia di Paolo) un risarcimento civile di un milione di euro per la sguaiata performance della Guzzanti contro di lei in una manifestazione.
Osservo comunque che tutti coloro che si occupano del caso Carfagna si esibiscono in ardite illazioni e in previsioni più o meno attendibili sul suo futuro politico ma si guardano bene dall'entrare nel merito della vicenda della gestione degli appalti per i termovalorizzatori, che la Carfagna ha dichiarato essere la ragione fondamentale della sua decisione di dire addio alla sua esperienza col PdL e con l'attuale governo.
E se un simile atteggiamento di riserbo può avere una sua logica nel caso - per esempio - del ministro Maroni, il quale, intervistato poco fa da Lucia Annunziata nel suo programma televisivo, ha dichiarato esplicitamente che le questioni inerenti alla dinamica dei rapporti di potere e degli equilibri politici interni al PdL non lo riguardano e quindi lui non ci mette becco pur sottolineando l'apprezzamento per l'opera che la Carfagna ha svolto come ministro, trovo paradossale che uguale discrezione provenga da chi invece adesso sparge fiele e veleno sulla figura dell'attuale titolare del dicastero delle Pari Opportunità.
Saremmo curiosi per esempio di sentire, a proposito della questione degli appalti, l'illuminata opinione della signora Alessandra Mussolini, ma è meglio non farsi troppe illusioni al riguardo.
Insomma, come era purtroppo normale aspettarsi, la situazione appare grave ma non seria e la nostra classe politica si dimostra ancora una volta nel suo complesso incapace di affrontare pragmaticamente il merito dei problemi, preferendo piuttosto la difesa dei propri orticelli clientelari o - peggio - di interessi più o meno puliti.
sabato 20 novembre 2010
Le dimissioni annunciate da Mara Carfagna
Era nell'aria, ma si attendeva che la diretta interessata formalizzasse la sua decisione.
Carfagna: voto la fiducia e mi dimetto
"Abbandono Parlamento, ministero e partito dato che il mio contributo pare sia ininfluente"
Fonte: http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/politica/2010/11/19/visualizza_new.html_1699254159.html
Al di là di quelli che possono essere i retroscena politici della decisione, appare interessante prendere atto di come questa notizia, oggettivamente di non secondaria importanza nell'attuale momento di instabilità politica, viene - e verrà - trattata dai mezzi di comunicazione.
Fra le prime reazioni, di particolare rilevanza risultano essere alcuni articoli pubblicati sul sito del quotidiano "Il Giornale":
nei quali le critiche alla decisione di Mara Carfagna appaiono fondate non su questioni di carattere politico e istituzionale ma su gossip, pettegolezzi e insinuazioni completamente prive di valenza politica.
Insomma, sembra proprio che i grossi calibri della stampa che fa riferimento al Presidente del Consiglio siano entrati in azione, l'obiettivo è Mara Carfagna, e la consegna è distruggerne l'immagine, metterla in ridicolo, volgarizzare ogni sua parola, ogni sua azione.
Cosa non nuova, del resto. Già all'atto della sua nomina a Ministro delle Pari Opportunità fu da ambienti mediatici legati all'opposizione di centro-sinistra che giunsero critiche e attacchi feroci alla sua persona; ricordiamo a tal proposito un botta-e-risposta fra la Carfagna e Antonio Polito, direttore del quotidiano "Il Riformista", di cui possiamo trovare un interessante sunto in questo link:
Ma che la figura della Carfagna potesse essere attaccata dall'opposizione, è cosa che in un modo o nell'altro fa parte della normale dialettica politica democratica e non deve stupire più di tanto. E' chiaro che anche in questo ci sono certi limiti dettati dall'educazione e dal buon gusto, limiti che non dovrebbero essere mai travalicati, come invece è avvenuto quando a prendere la parola contro Mara Carfagna è Sabina Guzzanti:
Comunque, in fin dei conti, molto meglio essere presi a male parole piuttosto che prendersi direttamente una pallottola in testa come purtroppo accade in altre nazioni meno evolute.
Quello che però lascia interdetti è la subitaneità e la violenza dell'attacco proveniente dalla stampa che si è sempre posizionata a strenua difesa della roccaforte berlusconiana, senza se e senza ma. Oggi questa stampa appare aver appena iniziato a rimettere in funzione la "macchina del fango" di immobiliare memoria.
Mi chiedo se sia stato anche dato l'ordine di non fare prigionieri. Anzi, prigioniere.
venerdì 19 novembre 2010
Figli e figliastri.
L'informazione è una cosa seria.
Dopo la famosa puntata del programma "Vieni via con me" in cui lo scrittore Roberto Saviano ha parlato del processo di infiltrazione della criminalità mafiosa nelle regioni del settentrione italiano facendo anche riferimento a indagini della magistratura in cui sarebbero emersi contatti fra la mafia e alcuni esponenti locali della Lega Nord, il ministro degli Interni Roberto Maroni ha ripetutamente chiesto di poter replicare in trasmissione a quelle che a lui sono parse accuse ingiuste e diffamatorie nei confronti del suo partito.
La reazione del ministro Maroni ha avuto larghissima eco mediatica: il ministro stesso è stato infatti già ospitato in diversi talk-show, nei quali, oltre a cogliere l'occasione per sottolineare i motivi per cui ritiene infondate le dichiarazioni di Saviano, ha altresì insistito perché gli venga riconosciuta la facoltà di intervenire nella trasmissione di Fazio.
Dopo un iniziale rigetto della richiesta del ministro da parte dei responsabili del programma "Vieni via con me", si è trovata una soluzione di compromesso invitando il ministro a presenziare in trasmissione per "leggere un elenco", così come hanno fatto nella precedente puntata Gianfranco Fini e Pierluigi Bersani.
A questo punto la questione potrebbe considerarsi chiusa, ma pare che a tirare la giacchetta dei responsabili di produzione di "Vieni via con me" si sia messo anche Pierferdinando Casini, il quale osserva con dispiacere come anche il delicato argomento dell'eutanasia sia stato trattato da Saviano senza alcun contraddittorio, e si candida anch'egli a presenziare a una prossima puntata della trasmissione per poter esprimere opinioni in contrasto con quelle di Saviano su casi come quelli di Eluana Englaro e di Piergiorgio Welby.
Ebbene, con la libertà, la pluralità e la correttezza dell'informazione tutto queste richieste non "ci azzeccano" assolutamente niente: infatti la trasmissione "Vieni via con me" non è e non vuole essere un talk-show, ma un programma di approfondimento culturale come ce ne sono, e ce ne sono stati, proprio tanti. E' quindi del tutto evidente che il format del programma, deciso in piena autonomia dai suoi responsabili, non è certo quello tipico del dibattito politico come possono essere trasmissioni quali "Porta a porta", "Annozero", "Matrix", e così via, nelle quali il telespettatore si aspetta - e con ragione - la presenza di ospiti che rappresentino le più diverse posizioni in modo che, se tutto ciò non avviene, le critiche alla conduzione del programma appaiano deontologicamente giustificate.
Nel caso di "Vieni via con me", invece, le insistenze che arrivano da diverse parti politiche nel voler presenziare e dire la propria nel merito degli argomenti trattati, appaiono grottesche e assurde, non tanto perché ci sia qualcosa di male in un politico che va a esprimersi in televisione, ma perché tali insistenti richieste non sono mai state avanzate in precedenza nel caso di altre trasmissioni in cui sono stati trattati con la stessa identica mancanza di contraddittorio argomenti aventi pari rilevanza nel campo della vita culturale e sociale.
Per esempio, le problematiche relative all'eutanasia e al testamento biologico vengono spesso trattate in programmi di cultura religiosa come, per esempio, la trasmissione "A sua immagine" che va in onda la domenica mattina su Rai Uno. Non ricordo di aver mai visto alcun contraddittorio, in quella trasmissione, e nemmeno ricordo che alcun esponente politico fautore delle posizioni culturali favorevoli al testamento biologico e all'autodeterminazione della prosecuzione dei trattamenti terapeutici sia mai insorto pretendendo di poter presenziare per esprimere le sue opinioni.
E potrei continuare facendo l'esempio di molte altre trasmissioni di approfondimento che non propongono, o non hanno mai proposto quando sono andate in onda, alcun tipo di contraddittorio: per esempio "Report", oppure "La storia siamo noi", oppure "La notte della repubblica".
Ma anche nel caso in cui si trattino argomenti specificamente politici, molti sono gli esempi di trasmissioni sistematicamente condotte senza contraddittorio: sicuramente le più conosciute sono "Sgarbi quotidiani" di Vittorio Sgarbi e "Il fatto" di Enzo Biagi.
Quello a cui abbiamo assistito nella scorsa puntata di "Vieni via con me", dunque, lungi dal rappresentare uno scandalo, è al contrario del tutto normale e regolare, e chi oggi nel mondo della politica e dell'informazione si indigna, si lamenta e chiede "riparazione del torto" dimostra solo di avere scarsissima memoria oppure di possedere una robusta dose di intrinseca ipocrisia.
Ma probabilmente, considerando l'altissimo indice di attenzione del pubblico nei confronti della trasmissione di Fazio, quello che in realtà si vuole è creare un precedente che dia in futuro modo a ogni politicante di poter mettere becco in qualsiasi tipo di evento mediatico.
Un precedente estremamente pericoloso, questo sì, per la libertà dell'informazione.
Dopo la famosa puntata del programma "Vieni via con me" in cui lo scrittore Roberto Saviano ha parlato del processo di infiltrazione della criminalità mafiosa nelle regioni del settentrione italiano facendo anche riferimento a indagini della magistratura in cui sarebbero emersi contatti fra la mafia e alcuni esponenti locali della Lega Nord, il ministro degli Interni Roberto Maroni ha ripetutamente chiesto di poter replicare in trasmissione a quelle che a lui sono parse accuse ingiuste e diffamatorie nei confronti del suo partito.
La reazione del ministro Maroni ha avuto larghissima eco mediatica: il ministro stesso è stato infatti già ospitato in diversi talk-show, nei quali, oltre a cogliere l'occasione per sottolineare i motivi per cui ritiene infondate le dichiarazioni di Saviano, ha altresì insistito perché gli venga riconosciuta la facoltà di intervenire nella trasmissione di Fazio.
Dopo un iniziale rigetto della richiesta del ministro da parte dei responsabili del programma "Vieni via con me", si è trovata una soluzione di compromesso invitando il ministro a presenziare in trasmissione per "leggere un elenco", così come hanno fatto nella precedente puntata Gianfranco Fini e Pierluigi Bersani.
A questo punto la questione potrebbe considerarsi chiusa, ma pare che a tirare la giacchetta dei responsabili di produzione di "Vieni via con me" si sia messo anche Pierferdinando Casini, il quale osserva con dispiacere come anche il delicato argomento dell'eutanasia sia stato trattato da Saviano senza alcun contraddittorio, e si candida anch'egli a presenziare a una prossima puntata della trasmissione per poter esprimere opinioni in contrasto con quelle di Saviano su casi come quelli di Eluana Englaro e di Piergiorgio Welby.
Ebbene, con la libertà, la pluralità e la correttezza dell'informazione tutto queste richieste non "ci azzeccano" assolutamente niente: infatti la trasmissione "Vieni via con me" non è e non vuole essere un talk-show, ma un programma di approfondimento culturale come ce ne sono, e ce ne sono stati, proprio tanti. E' quindi del tutto evidente che il format del programma, deciso in piena autonomia dai suoi responsabili, non è certo quello tipico del dibattito politico come possono essere trasmissioni quali "Porta a porta", "Annozero", "Matrix", e così via, nelle quali il telespettatore si aspetta - e con ragione - la presenza di ospiti che rappresentino le più diverse posizioni in modo che, se tutto ciò non avviene, le critiche alla conduzione del programma appaiano deontologicamente giustificate.
Nel caso di "Vieni via con me", invece, le insistenze che arrivano da diverse parti politiche nel voler presenziare e dire la propria nel merito degli argomenti trattati, appaiono grottesche e assurde, non tanto perché ci sia qualcosa di male in un politico che va a esprimersi in televisione, ma perché tali insistenti richieste non sono mai state avanzate in precedenza nel caso di altre trasmissioni in cui sono stati trattati con la stessa identica mancanza di contraddittorio argomenti aventi pari rilevanza nel campo della vita culturale e sociale.
Per esempio, le problematiche relative all'eutanasia e al testamento biologico vengono spesso trattate in programmi di cultura religiosa come, per esempio, la trasmissione "A sua immagine" che va in onda la domenica mattina su Rai Uno. Non ricordo di aver mai visto alcun contraddittorio, in quella trasmissione, e nemmeno ricordo che alcun esponente politico fautore delle posizioni culturali favorevoli al testamento biologico e all'autodeterminazione della prosecuzione dei trattamenti terapeutici sia mai insorto pretendendo di poter presenziare per esprimere le sue opinioni.
E potrei continuare facendo l'esempio di molte altre trasmissioni di approfondimento che non propongono, o non hanno mai proposto quando sono andate in onda, alcun tipo di contraddittorio: per esempio "Report", oppure "La storia siamo noi", oppure "La notte della repubblica".
Ma anche nel caso in cui si trattino argomenti specificamente politici, molti sono gli esempi di trasmissioni sistematicamente condotte senza contraddittorio: sicuramente le più conosciute sono "Sgarbi quotidiani" di Vittorio Sgarbi e "Il fatto" di Enzo Biagi.
Quello a cui abbiamo assistito nella scorsa puntata di "Vieni via con me", dunque, lungi dal rappresentare uno scandalo, è al contrario del tutto normale e regolare, e chi oggi nel mondo della politica e dell'informazione si indigna, si lamenta e chiede "riparazione del torto" dimostra solo di avere scarsissima memoria oppure di possedere una robusta dose di intrinseca ipocrisia.
Ma probabilmente, considerando l'altissimo indice di attenzione del pubblico nei confronti della trasmissione di Fazio, quello che in realtà si vuole è creare un precedente che dia in futuro modo a ogni politicante di poter mettere becco in qualsiasi tipo di evento mediatico.
Un precedente estremamente pericoloso, questo sì, per la libertà dell'informazione.
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