http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/13/papa-francesco-il-pm-gratteri-la-sua-pulizia-preoccupa-la-mafia/776320/
Quando la grande capacità analitica di un magistrato di lungo corso incontra l'ampiezza pragmatica di vedute di uno storico, i risultati sono quasi sempre interessanti e a volte veramente straordinari.
Ma per quanto riguarda il contenuto dell'articolo non è peregrina l'associazione, fatte le opportune modifiche del caso, con la ben nota esclamazione della fiaba di Hans Christian Andersen. Che vi sia una lunga storia di rapporti e di collusioni fra l'istituzione ecclesiastica e l'onorata società, forse soltanto un ingenuo potrebbe ignorarlo anche se per ignorarlo bisogna essere veramente molto distratti, non foss'altro che per la famosissima scena di Don Abbondio, che se non dà l'idea della collusione volontaria e finalizzata a mire di potere o al mero lucro ci mostra comunque il tema, costante, della sottomissione e della remissione.
I Don Abbondio, quelli che "uno il coraggio non se lo può dare", sia chiaro, non sono e non possono essere considerati solo un'invenzione letteraria: se così fosse, l'accidiosa figura creata dal Manzoni non sarebbe diventata - e rimasta - un'icona della nostra cultura popolare. Ma nelle pieghe della storia d'Italia v'è ben altro, e non è difficile prendere atto di quanto i sentieri battuti dalla mafia siano troppo spesso stati oscuramente connessi con le vie del Signore.
Ma prima di analizzare in dettaglio queste commistioni, è utile sottolineare alcuni dati che ci forniscono una preliminare visione d'insieme della questione.
Mafia, camorra e 'ndrangheta, senza dubbio le più note fra le organizzazioni criminali segrete del pianeta, nascono nel XIX sec. in Sicilia, Campania e Calabria e la loro forza di coesione proveniva sia dalla debolezza delle istituzioni ufficiali sia dal rigore della disciplina interna all'organizzazione. Scelti con cura e sottoposti a un minuzioso rituale di iniziazione, i membri di queste onorate società prestavano un giuramento di obbedienza e fedeltà assoluta alla gerarchia e dovevano seguire un ben preciso codice d'onore.
Orbene, la genesi di queste organizzazioni criminali si fonda su presupposti non dissimili da quelli che hanno portato la Chiesa cattolica a nascere, crescere e svilupparsi così come la conosciamo al giorno d'oggi. La storiografia ufficiale ci parla di una Chiesa nata e sopravvissuta fra stragi e persecuzioni generalizzate e indiscriminate: tutto ciò è falso. In realtà le persecuzioni - che ci furono - non furono né continuative e né generalizzate, il che vuol dire che la sopravvivenza e la diffusione del verbo di Cristo e dei suoi discepoli furono favorite proprio dalla sostanziale indifferenza, o dall'incapacità di comprendere la portata dirompente del movimento, da parte delle alte sfere del potere temporale nell'età imperiale romana. Eziogenesi, questa, non molto dissimile da quella delle onorate società. Per certi versi sorprendentemente simile è anche il percorso seguito sia dai picciotti per essere ammessi nell'onorata società sia dai chierici per diventare preti: i riti di iniziazione mafiosa prevedono una serie di passi che mettono a dura prova la determinazione del candidato, esattamente come il percorso di crescita spirituale che porta il chierico a prendere i voti.
Altro evidente punto di contatto fra l'organizzazione ecclesiastica e quella delle mafie è la rigorosa gerarchia e la conseguente disciplina che da essa deriva: basti ricordare, a proposito della Chiesa, la spietatezza con cui, sin dai tempi di Ipazia d'Alessandria e proseguendo con l'oscura parabola del Sant'Uffizio, venivano sistematicamente perseguitati tutti coloro che non si uniformavano alla gerarchia e alla dottrina ufficiale: il concetto stesso di infallibilità del Pontefice ne è una dimostrazione evidente.
Parimenti, nell'onorata società, a ogni offesa e a ogni sgarro corrispondeva una punizione ben precisa che, a seconda dei casi, andava dallo "sfregio", rito camorrista compiuto sul viso di una donna infedele con un rasoio seghettato o con pezzi di vetro, al "taglio a'mpigna", riservato agli infami e ai traditori, sino all'incaprettamento, metodo utilizzato sino al XX secolo dalla mafia siciliana.
Peraltro, le onorate società hanno sempre tenuto in grande considerazione gli elementi mistici di derivazione religiosa: la camorra elesse come suo "santo protettore" nientemeno che San Pietro, la 'ndrangheta si affidò a San Michele Arcangelo e la mafia siciliana elesse come patrono addirittura Gesù Cristo. Questo non vuol dire che tutto ciò sia stato fatto con l'approvazione, esplicita o tacita, delle gerarchie ecclesiastiche, ma è comunque significativo constatare come le onorate società avessero ben compreso che il legare la propria immagine a un simbolo sacro avrebbe accresciuto di molto il proprio prestigio nei confronti delle masse popolari.
Ma la prima vera prova concreta della reale commistione fra il clero e una onorata società si può riscontrare nel primo documento ufficiale in cui si accenna, sia pure indirettamente, a quella che sarebbe poi diventata la mafia. Si tratta di un rapporto riservatissimo, risalente al 1838, nel quale il procuratore generale del distretto di Trapani, Pietro Ulloa, descriveva al ministro della giustizia del regno di Napoli, S.E. Parisio, lo stato dei rapporti fra le istituzioni e le realtà locali nell'isola:
" (...) Non vi è impiegato, in Sicilia, che non si sia prostrato al cenno di un prepotente o che non abbia pensato a tirar profitto dal suo ufficio. Questa generale corruzione ha fatto ricorrere il popolo a rimedi oltremodo strani o pericolosi. Vi ha, in molti paesi, delle specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senz'altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, lì è un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di far esonerare un funzionario, ora di acquistarlo (...) "
E per finire questa disamina di massima, è opportuno ricordare che il cardinale calabrese Fabrizio Ruffo (1744-1827), all'atto della formazione dell'armata sanfedista nota come Esercito della Santa Fede in Nostro Signore Gesù Cristo, non disdegnò di arruolare in quelle schiere anche diversi mafiosi e camorristi, fra cui spicca il nome di Nicola Gualtieri, detto "Panedigrano", brigante e ergastolano calabrese che ebbe modo di distinguersi nella guerra anglo-borbonica contro i francesi per la riconquista del regno di Napoli.
Ora, per chi avesse voglia di approfondire la questione degli intrecci e dei legami più o meno oscuri fra la Chiesa e le onorate società, quale miglior consiglio che suggerire la lettura di "Acqua santissima" di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso?
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