Non me la sentivo di scrivere nulla, in verità, per celebrare o per ricordare in qualche modo la ricorrenza del 4 novembre, data in cui si concluse ufficialmente la I guerra mondiale con la vittoria dell'Italia e delle nazioni alleate contro gli Imperi Centrali. Per la cronaca, il contestuale completamento del processo di riunificazione del territorio italiano sotto un'unica bandiera è il motivo per cui tale ricorrenza venne ufficialmente denominata Giornata dell'Unità Nazionale.
Quello che invece non proprio tutti sanno è che il 4 novembre è anche la festa delle Forze Armate: la scelta di questo giorno, sia detto per inciso, era virtualmente inevitabile per oggettiva mancanza di alternative se osserviamo che sin dai tempi di Solferino e San Martino non vi sono altri momenti topici della nostra storia recente che possano essere considerati adatti a celebrare le nostre virtù militari, trattandosi per lo più di sconfitte a volte imbarazzanti: da Custoza a Lissa, da Adua a Caporetto, da Capo Matapan a El Alamein, dalla campagna di Russia a quella di Grecia, ritroviamo solo una lunga scia di sangue che, se non sminuisce affatto il valore e l'eroismo dei singoli ("Il soldato tedesco ha stupito il mondo, il soldato italiano ha stupito il soldato tedesco" disse Erwin Rommel, che era uno che un po' se ne intendeva), non depone certo a favore del prestigio della nazione in ambito bellico.
E se ne dovette accorgere pure Mussolini, che per ridare lustro e magnificenza a un comparto che il popolo poco amava e poco considerava non poté trovare di meglio che rispolverare l'iconografia dell'Antica Roma, dei suoi simboli e delle sue tradizioni.
Oggi comunque tutto questo non è più cronaca ma storia e non sarebbe una cattiva idea rivolgere la nostra attenzione a quello che è attualmente il nostro strumento militare e a come la politica lo utilizza.
Il frettoloso passaggio dalla leva al professionismo, conseguenza diretta della fine della Guerra Fredda, venne motivato con l'intento di spartire anche in Italia i cosiddetti "dividendi della pace", ovvero quegli ipotetici risparmi economici che le nazioni dell'est e dell'ovest avrebbero ottenuto dalla riduzione delle dimensioni dei rispettivi strumenti militari, riduzione resa possibile dalle mutate condizioni geopolitiche conseguenti al crollo dell'Unione Sovietica e alla dissoluzione del Patto di Varsavia. In realtà bastava poco per rendersi conto che dal passaggio leva/professionismo non sarebbe derivato alcun vantaggio per le casse dello Stato: tanto per fare un esempio, lo stipendio di un solo militare di carriera costa almeno quanto la paga di 30 militari di leva, e non mi risulta affatto che la riduzione del personale delle forze armate sia stata attuata nel rapporto di 30 a 1; c'è poi da tener presente che l'alta tecnologia costa, continua a costare sempre più, e costa ancor più se porta a produzioni di piccoli numeri su cui è impossibile fare economie di scala: vedasi per esempio i carri Ariete e i caccia Eurofighter.
Di tutto questo, ovviamente, una nazione in gravi difficoltà economiche come l'Italia non può non tener conto: lo strumento militare, così come qualsiasi altra branca della pubblica amministrazione, ha un senso se viene utilizzato al meglio e se produce i risultati previsti. Nel caso specifico, la funzione primaria delle forze armate è e resta pur sempre - Costituzione alla mano - quella di PROTEGGERE la nazione italiana e di TUTELARE i suoi interessi.
E' quindi necessario chiedersi se la trasformazione che attualmente stanno subendo le forze armate - trasformazione subdola, percepibile solo a chi ne capisce qualcosa e già in atto da diversi anni - è coerente con i presupposti di cui sopra: PROTEGGERE e TUTELARE.
Quello che voglio evidenziare è che lo strumento militare italiano, per una serie di ragioni essenzialmente politiche, non è più semplicemente una "forza di protezione" dei confini della nazione e dei cittadini italiani anche al di fuori di tali confini, ma si sta evolvendo in qualcos'altro, un qualcosa che per certi versi non è più sotto il diretto, esclusivo e assoluto controllo nazionale ma è chiamato a far parte di un sistema multinazionale e sovranazionale "di proiezione" al servizio di qualcosa di non ben definito, ovvero di ciò che in maniera estremamente generica si definiscono "gli interessi dell'Occidente", una definizione che è un calderone in cui si può mettere tutto e il contrario di tutto.
Insomma, chi comanda "veramente" i nostri militari, quando vengono chiamati a svolgere le più diverse missioni all'estero in zone lontane anche decine di migliaia di chilometri dai nostri confini? chi prende queste decisioni a livello politico? per quale motivo i nostri militari si trovano a combattere in Afghanistan? e perché abbiamo combattuto in Irak? quale tornaconto ne abbiamo nello spendere 200.000 €/anno per ogni militare mandato all'estero in zona di guerra, piuttosto che investire tali risorse economiche in altre e "forse" più impellenti urgenze all'interno dei nostri confini?
Cosa stiamo PROTEGGENDO?
Cosa stiamo TUTELANDO?
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