martedì 26 novembre 2013

Micaela Biancofiore e la legge del più forte


Non mi è piaciuta affatto questa affermazione di Micaela Biancofiore, sia pure fatta con forte veemenza polemica in un momento particolarmente caldo di una discussione in cui si metteva all'indice il referente politico storico della signora in questione.

Non mi è piaciuta, non solo per il merito della posizione espressa ma anche perché avveniva nella "giornata mondiale contro la violenza sulle donne", ove per violenza deve intendersi ogni forma di attacco alla dignità del genere femminile.
E non possiamo negare che sia particolarmente stridente con il rispetto della dignità delle donne l'affermare che un comportamento di tipo meramente utilitaristico possa essere talmente diffuso fra il genere femminile da poter essere considerato proprio come peculiarità caratteristica del gentil sesso.
In pratica, è come affermare che tutte le donne sarebbero disposte a concedersi all'uomo ricco e potente, facendo sostanzialmente mercimonio di corpo e anima... salvo prova contraria.
In altre parole, si ritorna allo stereotipo femminile di stampo veteromaschilista perfettamente descritto in una frase che sarebbe stata benissimo sulla bocca di Mimì metallurgico in un ipotetico film di Lina Wertmuller, una frase che suonerebbe più o meno così:
"Tutte le donne sono bottane, tranne mia madre, mia moglie, mia figlia e mia sorella"
Ora, se ci divertissimo ad analizzarla con gli strumenti della logica booleana, cioè in termini di true o false, una simile proposizione assumerebbe sempre e comunque il valore false: infatti, secondo le regole dell'algebra di Boole, per affermare che una proposizione assume sempre il valore false è sufficiente dimostrare che fra tutti i possibili casi in cui essa viene applicata ve ne è almeno uno in cui si riscontra che essa è false; viceversa, essa potrebbe essere definita come true se e solo se si potesse dimostrare che in nessun caso potrebbe assumere il valore di false. Cosa evidentemente impossibile nel caso di specie, a meno che alla proposizione in questione non venga conferito valore di assioma. Ma in tal caso si uscirebbe dall'ambito dell'algebra di Boole così come noi la conosciamo.

Quindi, a rigor di logica, la frase in questione è una solenne sciocchezza, una fesseria priva di valore.

Ma sappiamo bene che la matematica è uno strumento che non si può applicare utilmente allo studio della psicologia e del comportamento umano: in questi campi il supporto più concreto viene dalla statistica, strumento tanto più efficace quanto più ampio è il campione studiato, ovvero quando si entra nel campo della sociologia e si studiano le masse.
Ora, con tutto il rispetto per l'esperienza di vita della signora Micaela Biancofiore, ho ben più di un dubbio sul fatto che ella abbia potuto dire ciò che ha detto avendo potuto disporre di un campione statistico sufficientemente ampio da studiare. Ma ammesso e non concesso, ho ancora più dubbi sul fatto che ella abbia applicato le metodiche dell'indagine statistica per giungere alla conclusione che ci ha così chiaramente illustrato.
La statistica, infatti, non è un passatempo per giornate amene e nemmeno un surrogato dell'astrologia o della cartomanzia da salotto o da baraccone: la statistica è un metodo di indagine e di conoscenza che fa uso di strumenti matematici non propriamente for dummies e ci aspettiamo quindi che la signora Biancofiore ci renda edotti di quali siano gli studi a supporto delle sue affermazioni circa la prevedibilità del comportamento delle donne quando esse si trovano al cospetto di un uomo ricco e potente.

Rimanendo in attesa che la signora Biancofiore pubblichi quanto richiesto, vorrei però sottolineare che la sua affermazione contiene un sostanziale fondo di verità, nel senso che, se è vero che non si può assolutamente quantificarne a priori la percentuale, è altrettanto vero che sono sempre esistiti - e probabilmente continueranno a esistere anche in futuro - casi in cui la donna si comporta esattamente come descritto dalla signora Biancofiore, di cui non sarebbe corretto disconoscere a priori la testimonianza riguardo gli episodi a cui ella stessa ha affermato di aver assistito, episodi che riguardavano sia giovanette sia signore più mature colte letteralmente da mistico visibilio quando si sono trovate al cospetto di Silvio Berlusconi.

Io stesso, a dire il vero, posso affermare di essere stato più volte testimone di diversi casi simili, nell'arco della mia esistenza. Ovviamente non compio l'errore di generalizzare, non essendo in alcun modo le mie esperienze personali suscettibili di assumere valore statistico in merito al comportamento di tutto il genere femminile.
Sicuramente, a volte mi sono trovato di fronte a vere e proprie zoccole (mi si perdoni il termine, tanto volgare quanto efficace), altre volte di fronte a stronzestronzette, altre volte ancora semplicemente a ipocrite, e in più di un caso anche di fronte a povere sciocchine. Ma questo ci sta, il mondo è bello perché è vario, e del resto sono anche assolutamente certo che ogni donna potrebbe parimenti esibirsi in enumerazioni, assolutamente degne della massima fede, di soggetti maschili descrivibili con i peggiori epiteti, fra i quali primeggerebbero sicuramente gli aggettivi porco, stronzo e egoista.

Ma lasciamo perdere il raffinato eloquio di Oxford e dei suoi dintorni, perché a questo punto, con spirito del tutto disincantato, vorrei in qualche modo cercare di comprendere quale sia storicamente l'origine di comportamenti che oggi, nella nostra società teoricamente civile e comunque strutturata, non vengono certamente valutati in modo positivo dal punto di vista etico.
Ebbene, se guardiamo agli albori della storia umana, quando di una qualsiasi forma di patto sociale non vi era nemmeno l'ombra e ogni interazione non apertamente conflittuale si circoscriveva esclusivamente nel ristretto ambito della tribù, dobbiamo tener presente che l'unica "legge" vigente e riconosciuta era quella del più forte. Si capisce bene, quindi, come la donna, a cui era assegnato il compito della riproduzione e del lavoro "domestico", avesse tutto l'interesse ad accaparrarsi un partner sano e robusto o addirittura il maschio alfa, che certamente avrebbe potuto garantire - a lei e alla sua prole - maggiore protezione e tutela nei confronti delle avversità della vita.


In una simile prospettiva di mera sopravvivenza in un ambiente pieno di incertezze e di pericoli, ciò che oggi valutiamo con palese disapprovazione era invece da considerarsi a tutti gli effetti come primaria regola di vita, tanto primaria da assurgere a vero e proprio modello etico. E' chiaro che, con il passar del tempo e con l'evolversi della società verso forme caratterizzate dalla comparsa di leggi e persino di diritti, la necessità di cercare protezione e tutela in una persona piuttosto che in un insieme di regole si è andata inevitabilmente affievolendo sempre di più, tuttavia credo che questo resti come istinto ancestrale correlato all'idea stessa della sopravvivenza e quindi non eliminabile anche se - ovviamente - sempre meno giustificabile.

Stesso discorso, se vogliamo, si potrebbe fare in campo maschile per quanto riguarda una delle più tipiche manifestazioni della istintualità di genere, ovvero la gelosia, e la sua deriva più disgustosa e deteriore, ovvero il considerare la donna come una sua mera proprietà. Anche in questo caso, le origini di tale comportamento vanno fatte risalire alle epoche in cui era preciso dovere del maschio assicurare la massima protezione alla sua femmina: doveva difenderla da altri maschi che si mettevano in competizione con lui, dai predatori e da una lunga serie di pericoli di ogni tipo: ovviamente, possedere il giusto mix di astuzia (se nel caso) e di forza bruta (prima di tutto) era indispensabile per ottenere questo risultato, e da ciò derivava la territorialità in cui venivano compresi non solo i suoi beni ma anche la sua femmina e la sua prole, che, nei limiti del possibile, non dovevano venire a contatto con estranei o comunque con elementi esterni al gruppo familiare o alla tribù.

A questo punto, però, preso semplicemente atto delle ragioni storiche di determinati comportamenti sociali, qualcuno potrebbe chiedermi quando mi deciderò a parlare di un altro elemento chiave nelle dinamiche di coppia, ovvero l'amore.

Beh, non credo che questo contesto sia adeguato per parlare di amore.

Al limite, ma proprio al limite, e solo per strappare qualche timido applauso (maschile) o qualche sorrisetto ironico e un po' sprezzante (femminile) potrei banalmente cavarmela con un aforisma di Cesare Pavese:

"Nessuna donna farebbe mai un matrimonio di interesse: prima di sposare un miliardario, se ne innamora."

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